Migliaia di persone in marcia in India contro gli squilibri sociali
Circa 35 mila persone sono partite giorni fa da Gwalior, città al centro dell’India
settentrionale, per raggiungere Nuova Delhi in una marcia di 350 chilometri. Attraverseranno
cinque Stati e si stima che arriveranno ad essere 100 mila. Protestano per la difficile
situazione delle comunità emarginate, escluse dallo sviluppo. A causa dell’industrializzazione
del Paese, i terreni agricoli tendono sempre più ad essere destinati alle fabbriche.
Delle ragioni della imponente marcia in India, Fausta Speranza ha parlato con
il prof. Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste:
R. – Le ragioni
sono ragioni strutturali che l’India, nuova potenza mondiale e faro di democrazia
nel continente asiatico, non ha tuttavia risolto. Non c’è stata mai una vera riforma
agraria nazionale: il problema delle caste – che è un problema gravissimo – è stato
affrontato con degli espedienti ma le caste, sostanzialmente, sono rimaste e inficiano
molto la democrazia indiana. Non c'è stato poi nelle parti marginali del Paese lo
sviluppo che si è invece naturalmente registrato nelle zone più industrializzate o
dove vi è la nuova tecnologia, come il software e la parte elettronica. Quindi, il
Paese presenta oggi dei gravissimi squilibri che, in qualche modo, coloro che marciano
in questo lungo cammino verso la capitale di New Delhi vogliono mettere in evidenza.
Incominciano a pensare che questi problemi non troveranno una soluzione a breve.
D.
– Che idea si è fatto? Si tratta di una partecipazione trasversale, di diversi ceti
sociali, di diverse regioni...
R. – Il tentativo, diciamocelo, da parte governativa
è quello di far credere che la manifestazione sia soprattutto dei senzaterra e sia
confinata a coloro che sono più in basso nella scala sociale dell’India moderna. In
realtà, questo non è vero. Il richiamo del corteo ai valori della "Grande marcia"
di Gandhi è un richiamo molto più profondo di quello che il governo voglia fare apparire:
è anche – uso un’espressione pesante – "eversivo" non nel senso che i partecipanti
siano violenti, ma perché incrina l’immagine di grande Paese in sviluppo, di grande
potenza che invece nasconde grandi problemi. L’iniziativa, dunque, è assolutamente
trasversale e non bisogna credere che sia ristretta a una massa di poveri contadini:
comunque, il 70% degli indiani è ancora fuori dal vero sviluppo.
D. – Diciamo
una parola sull’influenza sulla regione, su tutta l’Asia…
R. – La marcia avrà
un impatto molto forte anche nei Paesi vicini, anch’esso inaspettato. Infatti, la
verità è che in tutto il Sudest asiatico - al di là delle trionfali dichiarazioni
ai vertici di Apec, Asean, le grandi organizzazioni, e al di là di quanto giornalisticamente
viene affermato - molti Paesi sono in crisi o stanno andando verso una crisi abbastanza
profonda che li ha colpiti. Quindi, il caso della grande marcia dell’India non rimarrà
isolato. Paesi che sembravano avere spiccato il volo – uno per tutti, il Vietnam –
sono ripiombati in uno stato di depressione e in molti il fermento è veramente forte.
L’importante è che la marcia e i suoi obiettivi rimangano, appunto, non violenti.
Per certi versi, il grande "boom" asiatico sta incominciando a mostrare la corda.