Facebook raggiunge il miliardo di utenti. E lancia un'applicazione a pagamento
Facebook festeggia un miliardo di utenti che almeno una volta al mese lo utilizzano.
Un traguardo raggiunto a otto anni dalla nascita (2004) del social network più famoso
del mondo che ora, con la diffusione degli smartphone, è divenuto anche l’applicazione
più utilizzata. Un risultato oscurato, in parte, dal cedimento del titolo a Wall Street.
“Spero che un giorno tutti insieme riusciremo a connettere anche il resto del mondo”,
ha dichiarato il fondatore, Mark Zuckerberg, che ha lanciato un servizio per la prima
volta a pagamento. Si può dunque parlare di trionfo per Facebook? FrancescaSabatinelli lo ha chiesto a MarcelloSorice, docente di Sociologia
della Comunicazione alla Università Luiss Guido Carli di Roma:
R. – E’ il trionfo
di due processi. Da una parte, l’estetica della visibilità: ci si mostra e al tempo
stesso ci si aspetta di essere guardati. Dall’altra parte, la connessione di natura
funzionale: Facebook è anche uno strumento di autopromozione, di promozione delle
attività che si svolgono. Non è un caso che venga utilizzato anche da studiosi, centri
di ricerca, politici, imprenditori. Diciamo che ha una funzione molteplice, da questo
punto di vista. Amplia le potenzialità della comunicazione ma non rappresenta, da
solo, il trionfo della comunicazione.
D. – Lei ha appena detto: ci si mostra
e ci si aspetta di essere guardati. Questo spiega l’annuncio che ha fatto Zuckerberg:
la possibilità di poter acquistare, con una cifra che sembra essere di 7 dollari,
più visibilità sulla bacheca dei propri amici. Cosa significa questa virata di tipo
economico?
R. – Significa enfatizzare quella seconda dimensione di cui parlavo
poco fa, una dimensione che si rivolge soprattutto a chi ha bisogno di enfatizzare
la propria presenza sulla Rete e le attività che svolge, e quindi utilizzare il social
network, in questo caso, come strumento di promozione: imprese, aziende ma anche singoli
professionisti. E’ chiaro che poi apparentemente la proposta di Facebook sembra solleticare
l’istinto ludico dei singoli soggetti, per apparire di più. Però, credo che, al fondo,
ci sia invece una virata anche verso un uso professionale del social network.
D.
– Questo perché il titolo, in Borsa, non è andato come si pensava dovesse andare?
R.
– Io credo che in realtà Facebook abbia avuto fin dalla nascita una vocazione anche
di natura professionale. Non è un caso che, dall’inizio, sia stato utilizzato anche
da aziende che poi l’hanno anche guardato con sospetto; tendenzialmente, però, si
erano fidate di quella potenzialità. Certo, probabilmente anche il fatto che il titolo
sia andato male gioca un ulteriore ruolo che facilita questa svolta verso un uso più
professionale.
D. – Non si può non sottolineare l’importanza dei social network
– di Facebook, in questo caso – in luoghi dove la parola libertà, pensiamo anche alla
libertà di espressione, è bandita …
R. – Sì. Facebook rappresenta, come tutti
i social network, un luogo importante per la rappresentazione dei soggetti più deboli,
dove per deboli intendo anche quelli che, appunto, non hanno voce. Il problema è che
molto spesso i social network vengono vietati all’origine e quindi nei regimi totalitari
a volte non esistono proprio. Però possono funzionare, e questo sicuramente è l’unico
aspetto positivo, come cassa di risonanza per ciò che accade fuori da questi Paesi
e in qualche modo creare quella permeabilità tra il "mondo libero" e i regimi totalitari,
che comunque rappresenta un seme di speranza per chi, invece, questa libertà non ha.
D.
– I social network, Facebook, riusciranno sempre a rinnovarsi per destare nuovi interessi
o sono destinati a una fine? Prima o poi gli utenti cercheranno un altro modo per
comunicare?
R. – Io credo che tutti questi strumenti, queste piattaforme, in
realtà siano già il frutto di un’evoluzione. Credo che siano destinati a trasformarsi.
In fondo, nella Rete noi abbiamo assistito ad una serie di trasformazioni nel tempo,
in qualche caso trasformazioni anche molto profonde, ma l’essenza profonda della comunicazione,
cioè stabilire connessioni, stabilire logiche di trasparenza, di trasmissibilità della
conoscenza e anche della propria identità, questo rimane invariato. Probabilmente,
utilizzeremo altri strumenti ma la logica sarà sempre questa.
D. – Con sempre
maggiori rischi per la privacy?
R. – Con sempre maggiori rischi, probabilmente
sì, perché in una società dell’assoluta trasparenza che i social network di fatto
ci impongono, il rischio è quello di essere totalmente nudi, se posso usare questa
metafora, dentro una scatola di vetro. Perciò è importante che su questo legiferino
gli Stati e gli organismi sovrannazionali.
D. – C’è da aver paura?
R.
– Io penso che dipenda naturalmente dal senso di responsabilità dei soggetti e delle
istituzioni. Gli strumenti possono essere utilizzati in mille modi, questo valeva
già per la televisione, prima ancora per il cinema. Erano strumenti di propaganda
in mano a regimi totalitari già al tempo del nazismo, per esempio; oppure, erano strumenti
di grande libertà, di lancio di messaggi di pace, di fratellanza. E’ il destino della
comunicazione umana, dipende dai soggetti umani.