2012-10-04 20:00:00

Facebook raggiunge il miliardo di utenti. E lancia un'applicazione a pagamento


Facebook festeggia un miliardo di utenti che almeno una volta al mese lo utilizzano. Un traguardo raggiunto a otto anni dalla nascita (2004) del social network più famoso del mondo che ora, con la diffusione degli smartphone, è divenuto anche l’applicazione più utilizzata. Un risultato oscurato, in parte, dal cedimento del titolo a Wall Street. “Spero che un giorno tutti insieme riusciremo a connettere anche il resto del mondo”, ha dichiarato il fondatore, Mark Zuckerberg, che ha lanciato un servizio per la prima volta a pagamento. Si può dunque parlare di trionfo per Facebook? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto a Marcello Sorice, docente di Sociologia della Comunicazione alla Università Luiss Guido Carli di Roma:RealAudioMP3

R. – E’ il trionfo di due processi. Da una parte, l’estetica della visibilità: ci si mostra e al tempo stesso ci si aspetta di essere guardati. Dall’altra parte, la connessione di natura funzionale: Facebook è anche uno strumento di autopromozione, di promozione delle attività che si svolgono. Non è un caso che venga utilizzato anche da studiosi, centri di ricerca, politici, imprenditori. Diciamo che ha una funzione molteplice, da questo punto di vista. Amplia le potenzialità della comunicazione ma non rappresenta, da solo, il trionfo della comunicazione.

D. – Lei ha appena detto: ci si mostra e ci si aspetta di essere guardati. Questo spiega l’annuncio che ha fatto Zuckerberg: la possibilità di poter acquistare, con una cifra che sembra essere di 7 dollari, più visibilità sulla bacheca dei propri amici. Cosa significa questa virata di tipo economico?

R. – Significa enfatizzare quella seconda dimensione di cui parlavo poco fa, una dimensione che si rivolge soprattutto a chi ha bisogno di enfatizzare la propria presenza sulla Rete e le attività che svolge, e quindi utilizzare il social network, in questo caso, come strumento di promozione: imprese, aziende ma anche singoli professionisti. E’ chiaro che poi apparentemente la proposta di Facebook sembra solleticare l’istinto ludico dei singoli soggetti, per apparire di più. Però, credo che, al fondo, ci sia invece una virata anche verso un uso professionale del social network.

D. – Questo perché il titolo, in Borsa, non è andato come si pensava dovesse andare?

R. – Io credo che in realtà Facebook abbia avuto fin dalla nascita una vocazione anche di natura professionale. Non è un caso che, dall’inizio, sia stato utilizzato anche da aziende che poi l’hanno anche guardato con sospetto; tendenzialmente, però, si erano fidate di quella potenzialità. Certo, probabilmente anche il fatto che il titolo sia andato male gioca un ulteriore ruolo che facilita questa svolta verso un uso più professionale.

D. – Non si può non sottolineare l’importanza dei social network – di Facebook, in questo caso – in luoghi dove la parola libertà, pensiamo anche alla libertà di espressione, è bandita …

R. – Sì. Facebook rappresenta, come tutti i social network, un luogo importante per la rappresentazione dei soggetti più deboli, dove per deboli intendo anche quelli che, appunto, non hanno voce. Il problema è che molto spesso i social network vengono vietati all’origine e quindi nei regimi totalitari a volte non esistono proprio. Però possono funzionare, e questo sicuramente è l’unico aspetto positivo, come cassa di risonanza per ciò che accade fuori da questi Paesi e in qualche modo creare quella permeabilità tra il "mondo libero" e i regimi totalitari, che comunque rappresenta un seme di speranza per chi, invece, questa libertà non ha.

D. – I social network, Facebook, riusciranno sempre a rinnovarsi per destare nuovi interessi o sono destinati a una fine? Prima o poi gli utenti cercheranno un altro modo per comunicare?

R. – Io credo che tutti questi strumenti, queste piattaforme, in realtà siano già il frutto di un’evoluzione. Credo che siano destinati a trasformarsi. In fondo, nella Rete noi abbiamo assistito ad una serie di trasformazioni nel tempo, in qualche caso trasformazioni anche molto profonde, ma l’essenza profonda della comunicazione, cioè stabilire connessioni, stabilire logiche di trasparenza, di trasmissibilità della conoscenza e anche della propria identità, questo rimane invariato. Probabilmente, utilizzeremo altri strumenti ma la logica sarà sempre questa.

D. – Con sempre maggiori rischi per la privacy?

R. – Con sempre maggiori rischi, probabilmente sì, perché in una società dell’assoluta trasparenza che i social network di fatto ci impongono, il rischio è quello di essere totalmente nudi, se posso usare questa metafora, dentro una scatola di vetro. Perciò è importante che su questo legiferino gli Stati e gli organismi sovrannazionali.

D. – C’è da aver paura?

R. – Io penso che dipenda naturalmente dal senso di responsabilità dei soggetti e delle istituzioni. Gli strumenti possono essere utilizzati in mille modi, questo valeva già per la televisione, prima ancora per il cinema. Erano strumenti di propaganda in mano a regimi totalitari già al tempo del nazismo, per esempio; oppure, erano strumenti di grande libertà, di lancio di messaggi di pace, di fratellanza. E’ il destino della comunicazione umana, dipende dai soggetti umani.







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