Siria: 300 mila gli sfollati. Mosca a Nato: no intervento militare
Imperversa la violenza in Siria, oltre 30 le vittime di ieri, mentre la Russia ha
messo in guardia la Nato e i Paesi del Medio Oriente dal cercare un pretesto per un
intervento militare. Intanto, secondo stime Onu, il numero dei rifugiati siriani nei
Paesi confinanti è triplicato negli ultimi tre mesi sono oltre 300 mila. Della diffile
situazione in Siria, Benedetta Capelli ha raccolto il commento del prof.Massimo Campanini,docente di Storia contemporanea dei Paesi arabi all’Università
di Trento:
R. – Personalmente,
a breve termine, non mi pare di vedere una via d’uscita. Assad è ancora sufficientemente
forte, oltretutto non ha perso l’appoggio dell’esercito, delle minoranze etniche su
cui ha sempre fondato il suo potere. Dall’altra parte, i ribelli sono divisi al loro
interno: certamente hanno l’appoggio della Turchia, dell’Arabia Saudita, del Qatar,
degli Stati Uniti. Però, se non ci fosse una vera e propria svolta militare, trovo
abbastanza difficile che i ribelli possano tenere sotto controllo la situazione, per
lo meno in tempi brevi.
D. - Tra l’altro, stiamo assistendo proprio ad una
sconfitta della diplomazia internazionale, perché né i mediatori Annan né Brahimi
stanno riuscendo a trovare un canale per far sì che in Siria si dialoghi e si arrivi
ad una soluzione…
R. – Da una part, Assad non vuole mollare la presa e quindi,
evidentemente, non è disposto a fare concessioni che vadano oltre un ridimensionamento
puramente formale del suo potere. Dall’altra parte, è vero che la rivolta contro Assad
è stata una rivolta del popolo ed è stata una rivolta per la libertà. Però, è anche
vero che i ribelli si sono macchiati di stragi e da questo punto di vista è chiaro
che i mediatori internazionali non trovino orecchie disposte ad ascoltarli. Oltretutto,
si tratta di mediatori internazionali deboli a loro volta perché non hanno un mandato
chiaro alle spalle che giustifichi anche, per esempio, un ultimatum ad Assad, del
tipo: O accetti questa cosa, oppure ci saranno delle conseguenze molto gravi per il
Paese e per te stesso”.
D. – La componente religiosa può essere di aiuto, di
supporto per una pacificazione, secondo lei?
R. – Secondo me no, anzi secondo
me la componente religiosa potenzialmente porterebbe ad una deflagrazione dello Stato
siriano, con l’emergere delle rivalità fra i vari gruppi etnici e religiosi. La Siria
è un mosaico non così complesso e così articolato come quello libanese, però è sempre
e comunque frammentato.
D. – Qual è una via d’uscita?
R. – Io vedrei
bene due tipi di soluzione. Una soluzione post-assadiana senza Assad: non è detto
che dopo di lui ci debba essere il diluvio, ci potrebbe essere anche una transizione
guidata che potrebbe salvaguardare il sistema politico siriano. Un’altra soluzione
sarebbe quella di un rivolgimento completo, basato su una ricomposizione del quadro
etnico religioso, che dia veramente spazio a un governo alternativo a quello di Assad.
Allora, si potrebbe veramente costruire una nuova Siria, secondo categorie democratiche
che finora in Siria non sono state praticate. Tra l’altro, ci si può anche chiedere
come faranno i siriani a ricostruire il Paese: avranno bisogno di interventi stranieri,
di un impegno economico da parte degli arabi, soprattutto da parte delle potenze del
Golfo. Queste ultime, però, darebbero un aiuto a un eventuale governo siriano solo
se esso avesse una prevalenza di sunnismo e quindi garantisse una rottura degli equilibri,
soprattutto dell’equilibrio di forze che dalla Siria arriva all’Iran e che preoccupa
in maniera estremamente profonda l’Arabia Saudita e le altre monarchie conservatrici.