Guerra civile in Congo: si aggrava l'emergenza profughi
Tra i Paesi al mondo dove le violenze armate persistono, con lutti e sofferenze tra
le popolazioni, travolte da annosi conflitti civili è la Repubblica democratica del
Congo, dove dal maggio scorso oltre 300 mila persone sono state costrette ad abbandonare
le loro case nella ragione orientale del Nord Kivu. Per questo il Papa ha lanciato
un appello all’Angelus “perché si trovino vie pacifiche di dialogo e di protezione
di tanti innocenti” e “torni al più presto la pace, fondata sulla giustizia”. Roberta
Gisotti ha intervistato Giusy Baioni, giornalista e membro dell’associazione
Beati costruttori di pace:
D. – Qual è
la posta in gioco in questa guerra e chi si contende cosa?
R. – La posta in
gioco è molto alta in questa regione: è una regione ricchissima, ha un sottosuolo
tra i più abbondanti al mondo, in quanto a materie prime, un terreno fertilissimo,
spazi enormi e una foresta ancora inesplorata. Insomma, le ricchezze sono tante, a
tanti livelli, e certo fanno gola, in particolare al vicino Rwanda, che è un Paese
piccolo, che ha bisogno di spazi, di risorse, perché il suo terreno non ne ha, e che
dopo il genocidio ha avuto un exploit, un boom economico tuttora in piena crescita.
D.
– Chi si sta combattendo in questa regione? I contendenti hanno un nome?
R.
– In questo preciso momento chi crea tutti questi problemi è un nuovo gruppo ribelle,
che ha scelto il nome di M23, che fa riferimento ad una data precisa. Si tratta del
Movimento 23 marzo, perché il 23 marzo 2009 il governo siglò dei patti con il precedente
movimento ribelle. Secondo questi combattenti il governo non ha mantenuto i patti
e per questo motivo, da questa primavera, hanno ripreso le armi e creano molti, molti
problemi nella regione.
D. – Quali patti, se si possono riassumere?
R.
– Sostanzialmente i ribelli chiedevano di essere ammessi nel governo, di prendere
parte alle decisioni del Paese e chiedevano il riconoscimento della loro minoranza
etnica, che è la minoranza tutsi. Sostengono di non essere stati accontentati in queste
loro richieste.
D. - Di questo conflitto si è parlato giovedì scorso in ambito
Onu a New York, presenti il presidente congolese, Kabila, e quello ruandese, Kagame.
Quest’ultimo ha negato ogni sostegno del suo Paese al gruppo ribelle M23...
R.
– Sì, è stata una riunione fallimentare ed è sicuramente per quello che il Papa ieri
ha fatto quest’appello, richiamando la riunione. Erano presenti, oltre ai due presidenti,
Hillary Clinton – segretario di Stato americano – e il segretario delle Nazioni Unite.
Il presidente Kagame, dopo 45 minuti di colloqui, se ne è andato: si è alzato ed è
andato via, lasciando di stucco i presenti, perché non ammette le responsabilità del
suo Paese nella ribellione che sta devastando il Congo, e si è rifiutato di firmare
l’appello finale.
D. – Da qui la preoccupazione per la sorte di queste povere
popolazioni...
R. – Esatto. Perché in tutta questa zona le violenze sono sempre
in crescita. Teniamo conto che è una zona turbolenta da almeno 20 anni e precedentemente,
anche nella storia del ‘900, ci sono stati continui genocidi, ci sono state guerre
intestine. Quindi, è proprio una zona di sofferenze decennali. La gente è provata
e penso che i giovani non abbiano mai vissuto un giorno di vera pace e tranquillità.