Afghanistan: numerosi attentati di matrice talebana
Tensione altissima in Afghanistan, dove prosegue l’ondata di attentati di matrice
talebana. Ieri almeno 20 persone hanno perso la vita in un attacco kamikaze nella
provincia di Kost; tra le vittime anche 3 soldati americani ed un interprete. Per
un commento sulla questione, Massimiliano Menichetti ha intervistato Luca
La Bella, responsabile per l’Asia del Cesvi:
R. - Più ci
si avvicina con il confine con il Pakistan - l’ultimo caso è proprio questo della
provincia di Khost - più l’insorgenza è attiva e forte. Questo perché il retroterra
logistico, il rifugio sicuro di tutti i gruppi che compongono l’insurrezione in Afghanistan,
è il Pakistan, in particolar modo le aree tribali pakistane adiacenti all’Est afghano,
e l’enorme provincia del Balochistan, contigua a Helmand, a Kandahar, la culla dell’insurrezione
talebana; i cervelli dell’insurrezione si nascondono in Pakistan. L’episodio di Khost
è chiaramente legato alla rete Haqquani, che ha sotto controllo Khost, Paktia e Paktika,
le tre provincie contigue che compongono la Loya Paktia in Afghanistan. Gli Haqqani
sono, tra l’altro, gli insorti più pericolosi che già da tempo gli Stati Uniti hanno
identificato come la principale minaccia alle loro truppe, alle truppe Nato e ai soldati
afghani.
D. - Il Pakistan è comunque "vicino" all’Occidente. Come è possibile
che permanga questa situazione?
R. – Perché ogni minuto della vita del Pakistan
è interamente assorbito dalla rivalità che questo Stato ha con il suo vicino indiano.
Essendo l’India un Paese che sovrasta il Pakistan soprattutto dal punto di vista militare,
questo cerca di fare qualunque cosa per bilanciare questo dilemma di sicurezza che
ha nei confronti dell’India. E quello che fa storicamente, è supportare tutta una
serie di milizie islamiche fondamentaliste, che sono considerate alleati naturali
contro l’India, ma che sono anche, in un certo qual modo, fuggite loro di mano, cioè
seguono le loro proprie agende. D’altro canto, per quanto riguarda l’Afghanistan,
il Pakistan vuole assicurarsi quel confine; vuole un potere debole o comunque asservito
a Kabul, ai propri interessi, in modo che si possa concentrare sul confine orientale
con l’India, e stare tranquilli che il confine afghano rimanga stabilizzato.
D.
- In questo scenario, anche gli scontri tra le forze di polizia afghane e le forze
dell’Isaf: alcuni dicono per fraintendimento. È solo questo?
R. - Sicuramente
un affronto, anche involontario, da parte di un soldato occidentale può portare ad
epiloghi molto tragici. Credo però che il fenomeno dei Green on Blue, cioè
degli omicidi da parte di persone che militano nelle forze di sicurezza afghane nei
confronti delle forze Isaf, è in larga parte ascrivibile all’insurrezione, sia direttamente
- cioè è il risultato di un piano di infiltrazione messo in atto proprio negli anni
in cui noi spingevamo sull’acceleratore e facevamo ingrossare le fila delle reclute
dell’Ana e dell’Anp - sia anche al fatto che l’insurrezione può fare pressioni indirette
sulle migliaia di giovani che militano tra le forze di sicurezza afghane.
D.
- Difficile comprendere l’Afghanistan a partire solo dal 2001. Qual è il volto del
Paese?
R. - Gli insorti sono quasi sempre pashtun. I pashtun sono il 42 per
cento del Paese, per cui c’è sempre l’altro 58 per cento che per ragioni etniche o
confessionali non si metterà mai con l’insurrezione. Io credo che la nostra permanenza
di 11 anni in Afghanistan non abbia fatto altro che tenere in sospeso fazioni la cui
lotta, la cui guerra civile, è stata interrotta da noi nel 2001. E nel momento in
cui ce ne andremo, ritorneranno a combattersi per ridare inizio alla guerra civile.Una fase della guerra civile che però è stata aiutata dal fatto che l’Occidente,
in questi 11 anni, ha riempito il Paese di armi, armando ex novo l’esercito afghano,
il quale in futuro potrà - ancora una volta - scomporsi in quelle linee etniche, in
quelle milizie, in quelle fazioni che hanno caratterizzato la guerra civile afghana
degli anni ‘90.