Ad un mese dalla morte del cardinale Martini, il ricordo del segretario, don Damiano
Modena
Il cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola ha chiesto ieri a tutte le comunità
della diocesi di celebrare la Messa di suffragio per il cardinale Carlo Maria Martini
nel trigesimo della sua morte. Inoltre, il porporato ha istituito il “Premio cardinale
Carlo Maria Martini” per incoraggiare lo studio delle discipline bibliche, l’approfondimento
del tema della lectio divina e la riflessione sul rapporto tra il Vangelo e il tempo
presente. Il bando del concorso sarà pubblicato il 15 febbraio, giorno del compleanno
del cardinale Martini. A un mese dalla morte, Antonella Palermo ha chiesto
al segretario personale del cardinale scomparso, don Damiano Modena, un ricordo
di Carlo Maria Martini:
R. - Più che
un ricordo, sento di esprimere un grazie al cardinale. Credo che la cosa più difficile
nei rapporti umani sia quella di entrare nella sofferenza di un’altra persona. E’
certamente la parte più intima di ciascuno di noi. Non è facile entrarvi dall’esterno
perché l’altro tende sempre a tenerla protetta, un po’ come la parte degli affetti,
e poi perché non tutti sono in grado di entrarvi senza devastarla, rispettando quello
che ci si trova di fronte. Il cardinale ha permesso a me e ai suoi collaboratori infermieri
di entrare in questa parte intimissima della sua vita che è la sua sofferenza, la
sua malattia. Non siamo entrati in tutte le stanze perché resta sempre qualche camera
riservata per sé, però devo dire che per la maggior parte ci ha permesso di entrare
nella parte più preziosa della sua vita e di aiutarlo a viverla meglio, di accompagnarlo
in queste stanze della solitudine, del dolore fisico, della delusione, della mancanza
di possibilità di comunicare. Ecco, credo che fosse questa, soprattutto, la sua più
profonda sofferenza. Fondamentalmente il dolore fisico - come lui stesso ha detto
più volte – non era molto grande. Spesso ripeteva: 'è una malattia che mi impedisce,
più che crearmi dolore'. L’impossibilità di comunicare lo aggrediva al cuore del suo
essere relazione, lui che è sempre stato un uomo di grande comunicazione.
D.
- E’ stato detto di tutto sugli ultimi momenti della sua vita…
R. - La gran
parte sono falsità... direi quasi tutte! E’ morto naturalmente, assistito e accompagnato
in tutto. E’ chiaro che fino a un certo punto si può intervenire, da un certo punto
in poi bisogna solo accompagnare il malato. Quando si capisce che non c’è più nulla
da fare … non c’è più nulla da fare! Lo abbiamo accompagnato con l’affetto, con la
preghiera, leggendo passi della Bibbia, cantando anche, attorno al suo letto, tenendogli
la mano.
D. - Secondo lei, è stato strumentalizzato il cardinal Martini da
certa stampa?
R. - Io non so giudicare questo, anche perché non ho letto quasi
nulla. Può immaginare, non mi interessava in quel momento. Per me era morto un padre
e vivevo il dolore della sua assenza, quindi non mi interessava quello che dicevano.
Però, penso di sì, ma non saprei...
R. - Cosa le piace ricordare del pezzo
di vita che lei ha avuto modo di condividere con lui?
D. - Il suo altissimo
senso della giustizia nei confronti di tutti: i poveri, gli ammalati, i sofferenti
che incontrava. Avrebbe voluto aiutarli tutti, consolarli tutti, liberarli tutti dalle
ingiustizie. E la sua accoglienza nei confronti di tutti. Non l’ho mai sentito esprimere
un giudizio negativo su qualcuno, mai. Questo mi ha colpito.
D. - Cosa le ha
insegnato circa il vivere e il morire?
R. - Forse è ancora presto per me capire,
dare spessore alle cose che ho imparato da lui. Circa il vivere, non giudicare nulla,
lasciare a Dio il giudizio e noi amare. Noi siamo fatti per amare. E circa la morte…
beh, devo dire che pensavo fosse più semplice morire. Invece ho visto che è complicato.
Ho capito che bisogna conquistarsi anche la morte. L’ho visto faticare molto. Ho visto,
insomma, che non si muore in un istante. E’ proprio un cammino, un percorso nel quale
bisogna lasciarsi andare. Lasciarsi fare, e non è sempre facile perché – lui lo diceva
spesso – la morte è forse l'unico atto di fede che un uomo fa nella sua vita, perché
è l’unico nel quale tu non puoi contare assolutamente più su te stesso. Io credo che
lui abbia faticato molto a cedere il passo, a lasciare alla morte il passo, perché
amava molto la vita.
D. - Si ricorda, quattro mesi fa, l’incontro privato tra
Benedetto XVI e il cardinal Martini a Milano. In quella circostanza il cardinale volle
andarlo a trovare per dimostrare la sua solidarietà in un frangente difficile per
il Papa e per la Chiesa…
R. - Lo ricordo bene. Io credo sia stato un incontro
tra due uomini che soffrivano molto. Uno di loro non sapeva che sarebbe morto a distanza
di due mesi e l’altro probabilmente non immaginava che una volta diventato Papa avrebbe
dovuto sopportare tante croci. E’ stato un incontro in cui gli sguardi e le poche
parole erano tese a consolarsi reciprocamente, soprattutto il cardinale al Papa. Trovammo
il Papa molto stanco e sofferente e il cardinale ce la mise tutta, secondo le sue
possibilità, nel dirgli che gli era vicino, che era un momento di prova, che non doveva
preoccuparsi.
D. - L’eredità spirituale del cardinal Martini per don Damiano?
R.
- E’ immensa. Per me credo sia la misericordia. Essere annunciatori della misericordia.
Gesù è sempre stato dalla parte dei peccatori, in tutti i passi del Vangelo. Dall’inizio
alla fine. Dalla nascita alla morte. Credo dunque che l’eredità che il cardinale ci
ha lasciato sia questa. Una Chiesa autentica è una Chiesa che si mette dalla parte
di chi ha sbagliato e lo consola, innanzitutto, se non può fare altro, lo consola.