Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
In questa 26.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del
Vangelo in cui l’apostolo Giovanni dice di aver visto un uomo che scacciava i demòni
nel nome di Cristo e ha cercato di impedirglielo, perché non è della ristretta cerchia
dei discepoli che segue il Maestro. Ma Gesù risponde:
“Non glielo impedite,
perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare
male di me: chi non è contro di noi è per noi”.
Su questo brano evangelico
ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito
di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Il nome di Dio
in esclusiva, una appartenenza religiosa recintata, un’identità sacra rigida: il discepolo
Giovanni si fa portavoce di questa mentalità; ma lo stesso atteggiamento è presente
anche attorno a Mosè, nella prima lettura. Non importa che chi soffre sia guarito,
che le opere siano buone? Se non c’è autorizzazione debita, se “non è dei nostri”,
se non è passato per la nostra scuola religiosa, non vale niente, bisogna bloccarlo,
rifiutarlo. Che mentalità gretta! Eppure tante volte è proprio così anche oggi. Gesù
non accetta, anzi rovescia la prospettiva: chiunque ha il cuore generoso, chiunque
fa il bene, chi dona anche solo un bicchiere d’acqua, è discepolo, anche senza saperlo.
Si può essere discepoli, giusti, anche santi, pur senza essere uomini di chiesa. Chiunque
pratica la giustizia, affermò un giorno Pietro davanti al pagano Cornelio, trova accoglienza
presso Dio (At 10,34s). La seconda parte del vangelo parla di radicalità quasi feroce:
occhio, mano, piede che sono strumenti di male, e allora tagliare di netto! Il senso
non è diventare mutilati, la soluzione non è la mano tagliata o l’occhio strappato.
Ma la mano convertita, l’occhio puro, il piede prudente. Soprattutto il cuore pulito.