Nuova giornata di sangue in Siria: almeno 60 morti. L’Onu lancia l’allarme profughi
Ancora una giornata di sangue in Siria, mentre la comunità internazionale è sempre
più preoccupata per l’escalation di violenza in atto. "C’è il rischio che si trasformi
in un campo di battaglia regionale" hanno denunciato il segretario generale dell’Onu
Ban Ki-moon, il numero uno della Lega Araba, Nabil el Araby, ed il rappresentante
speciale Lakhdar Brahimi, durante un incontro al Palazzo di Vetro a margine dell'Assemblea
Generale dell'Onu. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
E’ un venerdì
di sangue per la Siria. L’ennesimo di questa guerra che continua a produrre morte
e distruzione. Sono almeno 60 le persone rimaste uccise solo oggi, alcune delle quali
sono state finite in esecuzioni sommarie. E’ accaduto ad Aleppo, dove infuria una
battaglia definita “senza precedenti” da testimoni sul posto; ma scontri si segnalano
anche in alcuni popolosi sobborghi di Damasco. Una carneficina che produce anche un’incessante
ondata di profughi, così come dichiarato dall’Onu, che prevede entro la fine dell’anno
oltre 700mila persone in fuga dal Paese. Intanto il Consiglio Onu sui diritti umani
ha approvato a Ginevra il rinnovo del mandato della Commissione d’inchiesta sulla
violazioni in Siria. Riuniti in sessione a Ginevra i 47 Paesi membri hanno approvato
una risoluzione in tal senso con 41 voti a favore, 3 astenuti e tre contrari: Russia,
Cina e Cuba.
A causa dell'incessante ondata di profughi in fuga dalla Siria,
Iraq, Giordania, Turchia, ma soprattutto Libano rischiano di non poter far fronte
agli arrivi e all’assistenza. Proprio a Beirut Davide Maggiore ha intervistato
Davide Bernocchi, rappresentante di Catholic Relief Services nel Paese dei
Cedri, che traccia un drammatico profilo della situazione:
R. – L’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ad oggi ha registrato più di 200
mila rifugiati provenienti dalla Siria nei Paesi circostanti; i numeri reali sono
chiaramente molto più alti. La situazione è diversa da Paese a Paese. Turchia e Giordania
hanno istituito dei campi, la stessa cosa avviene adesso in Iraq mentre in Libano
l’assistenza è più diretta e viene direttamente dalle Nazioni Unite o dalle organizzazioni
non governative.
D. – Cosa si può dire più in particolare di quanto sta accadendo
in Libano, per quanto riguarda l’assistenza?
R. – Il Libano, in termini di
numeri, è il secondo Paese per numero di rifugiati: sono più di 75 mila le persone
che finora sono state assistite dalla comunità internazionale e dalle associazioni
umanitarie. Anche qui i rifugiati reali sono molti di più. Il problema è che Libano
e Siria sono due Paesi con una contiguità storica ed etnica molto forte, per cui molti
rifugiati, in realtà, sono assistiti da familiari o gente che appartiene alla loro
comunità; altri si possono permettere ad oggi di affittare una casa, anche perché
il Libano non richiede particolare burocrazia per l’ingresso dei siriani. Il problema
è per il futuro: ci chiediamo che cosa succederà se la situazione di crisi in Siria
si protrarrà e queste persone non potranno più permettersi di essere autosufficienti
in Libano.
D. – In questo contesto, come agisce Catholic Relief Services?
R.
– Catholic Relief Services lavora a livello regionale con tutte le Caritas dei Paesi
limitrofi che accolgono rifugiati. In realtà, Catholic Relief Services ha un’esperienza
di lunga data sia in Giordania sia in Libano, e ha lavorato con le Caritas locali
nell’accoglienza dei profughi iracheni. E quindi, questa è una base molto solida per
il lavoro che si sta facendo ora con i siriani. Direi che l’elemento dei rifugiati
iracheni è un elemento al quale bisogna porre attenzione: la Siria ne aveva ben oltre
un milione, molte di queste persone non sono in condizioni di rientrare in Iraq per
cui la comunità internazionale deve veramente riservare attenzione alla loro sorte.