Oggi ad Abbiategrasso i funerali di padre Bossi, "gigante buono" delle Filippine
Si tengono oggi in Italia le esequie di padre Giancarlo Bossi, il missionario del
Pime, sequestrato per 40 giorni nel 2007 da miliziani musulmani a Mindanao nella Filippine,
dove era tornato pochi mesi dopo la liberazione. Padre Bossi, malato di tumore da
circa un anno, è spirato domenica in una clinica nel milanese. Il rito funebre si
terrà alle ore 15 nella parrocchia di Castelletto di Abbiategrasso, suo paese d’origine.
Il servizio di Roberta Gisotti:
Sono in tanti
nelle Filippine a piangere padre Bossi, 62 anni, di cui 32 vissuti in questo Paese.
Domani pomeriggio, in suo ricordo si terranno veglie di preghiera a Payao, nell’isola
di Mindanao, dove era stato rapito, e sarà celebrata una Messa in suo ricordo nella
parrocchia di Maria Regina degli Apostoli a Paranaque, dove pure aveva lavorato. Padre
Bossi era soprannominato il “gigante buono” per la statura atletica e la gentilezza
del suo animo, come ricorda commosso padre Gianni Re, superiore dei missionari
del Pime nell’arcipelago filippino:
R. – A dir la verità, ho tanti ricordi,
tanti bei ricordi, anche perché ho avuto la possibilità di lavorare con lui per più
di dieci anni e abbiamo sempre mantenuto una grande amicizia. Anche se ero già un
po’ preparato al fatto che venisse meno e che morisse, mi è dispiaciuto tantissimo
e ancora adesso mi dispiace, mi dispiace veramente.
D. – Come è stata appresa
la notizia?
R. – Sono diverse le comunità che ha servito: Mindanao, qui vicino
a Manila, e poi anche le zone un po’ più centrali e l’ultimo suo impegno era nell’isola
di Mindoro. Adesso sta cominciando ad arrivare la notizia alla gente comune. So, ad
esempio, che i vescovi di queste diocesi stanno organizzando delle Messe in ricordo
e a suffragio di padre Giancarlo. La notizia sta arrivando e ne stanno dando notizia
sia i giornali che le televisioni e le radio delle Filippine.
D. – Quale eredità
principale resta di quest’uomo, che aveva mostrato anche così tanto equilibrio nella
tragica vicenda del suo rapimento?
R. – L’immagine che ha sempre dato è quella
di una persona semplice e buona, molto vicina ai poveri e ai bisognosi, abbastanza
riservata e silenziosa, ma soprattutto l’immagine che la gente ha davanti a sé è proprio
quella di questa figura imponente da un punto di vista fisico, ma – allo stesso tempo
– si vedeva la sua semplicità e anche la sua bontà di cuore verso coloro che gli si
avvicinavano per chiedere aiuto in un modo o in un altro.
D. – Dopo il suo
rapimento, c’erano stati cambiamenti nei rapporti fra cristiani e musulmani?
R.
– Lui era stato rapito in una zona dove c’era una certa percentuale di musulmani,
ma anche una forte presenza di cristiani. Per quanto ne posso sapere, i rapporti tra
cristiani e musulmani sono rimasti uguali, anche perché sembra che chi avesse organizzato
e portato avanti il rapimento fosse veramente un piccolo gruppo e lo scopo era quello
di riuscire a fare qualche soldo, chiedendo un riscatto.
D. – E infatti lui,
una volta rientrato, sottolineava con la sua comunità: "Sono stati dei criminali a
rapirmi e non c’entra che fossero musulmani"...
R. – Sì, non era tanto da mettere
sotto il punto di vista di conflitto tra cristiani e musulmani, ma semplicemente un
rapimento a scopo di guadagno, a scopo di riscatto.
D. – Padre Re, com’è la
situazione per voi missionari nelle Filippine di oggi?
R. – Dipende dalla zone,
anche se attualmente nella maggior parte delle zone in cui lavoriamo la situazione
è abbastanza tranquilla. Poi possono esserci dei momenti in cui la tensione aumenta
un poco e allora, in quel caso lì, bisogna stare attenti.