Emilia, c'é speranza nelle zone terremotate, ma bisogna fare presto
"La pastorale non
può essere più come prima, perché un conto è fare il catechismo in aula e un conto
è fare a meno di strutture. Ma la situazione, rispetto a giugno, è molto cambiata".
Mons. Antonio Lanfranchi, arcivescovo di Modena-Nonantola, ci racconta la
situazione delle zone terremotate dell'Emilia a quattro mesi dalle terribili scosse
del maggio scorso. "Prima si toccava con mano un clima di desolazione,
di paura. Ora, invece, sono evidenti i segni di speranza della ricostruzione. A Finale
Emilia, per esempio, sta per essere ultimata una scuola materna parrocchiale che ospiterà
240 bambini, frutto delle offerte di privati. Si sta lavorando alacremente anche per
riaprire presto al pubblico la Parrocchia e la Chiesa di S. Bartolomeo. I segni della
ricostruzione sono presenti in ogni comunità. Molto importante è anche l'aiuto
che ci stanno dando i gemellaggi con le diocesi che - al di là dell'aiuto materiale
- esprimono quella vicinanza che serve a lenire le ferite più profonde del terremoto,
quelle del cuore". "La volontà degli imprenditori nel non interrompere la produzione
e nel non scoraggiarsi fin'ora è stata ferrea. Ma se i finanziamenti non arriveranno
presto il rischio della rabbia e del risentimento c'è". Lo sottolinea il
direttore della Confindustria di Modena, Giovanni Messori. "Le istituzioni
devono fare presto. I soldi sulla carta sono abbastanza, ma dobbiamo lavorare a testa
bassa per togliere ogni orpello burocratico che rallenti la ricostruzione. In Emilia
si vedono centinaia di gru al lavoro. Imprenditori, commercianti, cittadini hanno
ricominciato con le loro forze. Lo Stato non ci può abbandonare, anche perché qui
non fa la carità, ma fa un investimento. Perché qui si produceva l'1,5 del Pil, si
pagavano qualche miliardo di tasse e noi vogliamo continuare a produrre in un'ottica
di ripresa per tutto il Paese". (A cura di Fabio Colagrande)