Siria. Rapporto Onu: crimini di guerra e violazioni dei diritti umani. Ieri 60 morti
Siria nel sangue. Almeno una sessantina i morti ieri in diversi combattimenti. La
battaglia più pesante ad Aleppo, mentre al Cairo si è riunito il gruppo di contatto
sulla Siria. E intanto un rapporto Onu denuncia crimini di guerra e pesanti violazioni
dei diritti umani da parte delle due fazioni. Il servizio è di Marina Calculli:
La commissione
d’inchiesta dell’ONU sulla Siria raccomanda al Consiglio di Sicurezza “misure appropriate”.
Ci sarebbero, infatti, prove sufficienti per deferire molte personalità alla Corte
Penale Internazionale. Una seconda nuova lista di colpevoli di crimini contro l’umanità
è stata poi stilata ma non resa pubblica. La decisione di rimettere l’elenco al giudizio
della Corte resta però in mano al Consiglio di Sicurezza, dove la spaccatura tra il
blocco occidentale da un lato e Russia e Cina dall'altro sembra insanabile. Ieri sera
al Cairo si è tenuta invece una riunione ministeriale del Gruppo di contatto sulla
Siria tra Egitto, Turchia, Iran e Arabia Saudita alla presenza di Lakhdar Brahimi.
L’Iran ha invece smentito la notizia precedentemente diffusa dal capo dei guardiani
della rivoluzione secondo cui Pasdaran sarebbero presenti in Siria a combattere accanto
al regime di Assad. Sul terreno nel frattempo la battaglia di Aleppo va avanti e la
giornata di ieri si è conclusa con diverse decine di morti mentre i bombardamenti
dell’aviazione sono arrivati fino al confine nord con il Libano.
E continua
a far discutere il rapporto sulla Siria stilato da una commissione d’inchiesta Onu,
dal quale emerge che sia i ribelli che i lealisti di Assad hanno commesso nel Paese
crimini di guerra e pesanti violazioni dei diritti umani. Benedetta Capelli
ha chiesto un commento ad Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici
all’Università della Calabria: R. – In Siria
c’è, in effetti, una guerra civile e quindi le violazioni dei diritti umani sono,
tutto sommato, all’ordine del giorno. Per di più, in alcuni casi, soprattutto le forze
lealiste sembra si siano macchiate di episodi di particolare brutalità nei confronti
della popolazione civile. Tutto questo, nell’indifferenza sostanziale un po’ di tutto
il mondo che altrove – magari – è intervenuto con prontezza e in questo caso invece
lascia agonizzare la Siria con la scusa che si tratta di affari interni a quello Stato.
Kofi Annan, già mediatore Onu e Lega Araba, aveva detto una cosa che credo sia poi,
tutto sommato, quella che emerge anche dal Rapporto e che indicherebbe l’unica via
possibile, anche se difficilmente praticabile, per uscire dal conflitto: “Se non vogliamo
che la situazione in Siria finisca solo perché una parte prevale sull’altra dal punto
di vista militare, dovremmo provvedere ad una serie di interventi che vedano impegnate
tutte le forze in campo”. Quindi non solo i ribelli, non solo gli interessi internazionali,
ma anche le stesse forze lealiste, quelle che appoggiano l’establishment governativo.
Tutti dovrebbero fare un passo indietro e forse, a quel punto, si potrebbero ricucire
le cose …
D. – Nel rapporto delle Nazioni Unite si denuncia anche la presenza
di elementi stranieri, tra cui militanti jihadisti. I pasdaran, le Guardie della Rivoluzione
iraniana, avevano parlato di una presenza sul territorio siriano, sia pur non militare
…
R. – Anche questa era una cosa ben nota. Ancora oggi, anche dopo il Rapporto,
non possiamo valutarne l’esatta consistenza. Il controllo è difficile, è molto difficile.
La situazione internazionale – come abbiamo detto – è complessa, la comunità internazionale
non riesce a trovare un accordo forte e la stessa Turchia, Paese confinante che ha
interessi nell’area, ha per ora un atteggiamento un po’ contraddittorio: talvolta,
come abbiamo visto, si è un po’ inquietata per alcune azioni del governo siriano,
però – almeno al momento – non intende fare interventi in proprio senza l’ombrello
di qualche politico internazionale, delle Nazioni Unite o di altre organizzazioni
come la Nato.
D. – E ci sono poi sempre le dichiarazioni dei pasdaran riguardanti
invece un intervento militare nel caso in cui la Siria venga “invasa” da forze esterne:
lei come legge queste parole?
R. – Più che altro, come una minaccia che voglia
fare da deterrente a possibili interventi di forze straniere, di Stati … Non dimentichiamo
che c’è un forte conflitto, in questo momento, per l’egemonia nell’area calda del
Medio Oriente. Un conflitto più diplomatico che militare, in questo momento almeno,
che vede protagonisti due Stati non arabi: la Turchia da una parte e l’Iran dall’altra.
Le relazioni tra i due Paesi sono sempre state problematiche, anche se talvolta ci
sono stati riavvicinamenti su alcune questioni … Però è chiaro che si tratta di due
Paesi che aspirano ad un ruolo di potenza regionale, una cosa che gli arabi stessi
non riescono più a pretendere: la Lega araba ha fallito completamente, le divisioni
interne ai Paesi arabi sono sotto gli occhi di tutti … Quindi, diciamo che questi
conflitti, dalle Primavere arabe in poi, stanno dimostrando in un certo senso l’uscita
degli arabi dal ruolo di protagonisti nella loro stessa area di influenza, e invece
i tentativi di ingresso, come potenze regionali che possano dettare il futuro di quell’area,
da parte di Paesi che non sono arabi e che sono, in questo momento, in lotta. I pasdaran,
secondo me – che hanno un chiaro riferimento, naturalmente, in Iran – con queste minacce
vogliono semplicemente dire che ci sarebbero anche loro, nel caso in cui qualche altro
Paese, come la Turchia – ad esempio – volesse intervenire in Siria.