Vola il prezzo di grano, mais e soia: a rischio fame milioni di nuovi poveri
In Mozambico il prezzo del mais è cresciuto in un mese del 113 per cento, nel Sud
Sudan del 220 per cento, mentre corrono anche le quotazioni di grano e soia, aumentate
durante l'estate di oltre il 30%. Si calcolano 44 milioni di nuovi poveri per la corsa
dei prezzi del cibo. Sono solo alcuni dati della Banca Mondiale che fotografano la
drammatica volatilità dei mercati alimentari, che rischia di diventare una seria minaccia
per la vita di milioni di persone. Tra le diverse cause, oltre alla siccità, c’è l’aumento
della percentuale di mais utilizzata non per cibo ma per ricavare bioetanolo. Ma c’è
anche un altro fattore: l’immissione di liquidità negli Stati Uniti per contrastare
la crisi economica, voluta a più riprese dalla Banca centrale statunitense. Dei meccanismi
economici che si innescano a partire dalle decisioni della Fed, Fausta Speranza
ha parlato con l’economista Alberto Quadrio Curzio:
R. - Fino ad
ora è servito per evitare che la crisi degenerasse con conseguenze distruttive. Perciò
da un lato si è tamponata la crisi stessa e dall’altro negli Stati Uniti si è rideterminata
una crescita dignitosa. La continuazione però di questa immissione di liquidità farà
aumentare certamente i prezzi in dollari e potrà innescare grosse operazioni al rialzo
sui prezzi delle materie prime, in particolare di quelle agroalimentari. L’effetto
di tutto ciò è preoccupante perché le materie prime agroalimentari di base sono estremamente
rilevanti per l’alimentazione anche nei Paesi emergenti e in via di sviluppo. Quindi:
le conseguenze interne per gli Stati Uniti sono state sostanzialmente positive; le
conseguenze esterne possono essere molto preoccupanti.
D. - Diciamo così: se
crollano gli Stati Uniti crollano parecchi Paesi e dunque per alcuni l'immissione
continua di dollari sul mercato potrebbe apparire addirittura benefica, però non poteva
esserci una via diversa?
R. - E’ certamente vero quello che lei dice e credo
sia il problema più delicato. Tuttavia credo che in qualche modo bisogna ripensare
al sistema monetario internazionale, perché il fatto che sia legato quasi esclusivamente
al dollaro - e dopo questa crisi ancora di più - può determinare effetti squilibrati
della politica monetaria americana. In altre parole, gli americani si danno carico
di una politica monetaria guardando ovviamente prima i loro interessi e successivamente
a quelli del resto del mondo. Essendo la moneta un bene universale, nel senso che
riguarda tutto il commercio mondiale, i prezzi di tutte le materie prime, io credo
che prima o dopo bisognerà creare una maggiore cogestione della moneta con riferimento
ad accordi internazionali che tengano conto degli interessi di tutti. Una forte svalutazione
del dollaro può da un lato favorire gli Stati Uniti che esportano di più ed importano
di meno ma dall’altro può danneggiare molti Paesi in via di sviluppo, sia perché esportano
di meno sia perché i prezzi delle materie prime espressi in dollari crescono.