Sale la tensione tra Cina e Giappone per le isole contese
Ancora tensione tra Cina e Giappone per le contese isole Diaoyu, Senkaku per i giapponesi.
Ieri proteste a Pechino davanti l’ambasciata nipponica e in altre 85 città, mentre
alcune sedi di Canon e Panasonic hanno chiuso i battenti dopo essere state danneggiate
dalle violenze. Gli Stati Uniti premono per una soluzione pacifica, ma riaffermano
gli obblighi del Trattato di Sicurezza, per il quale sono tenuti a difendere l’alleato
se aggredito. In serata sulle coste delle isole è previsto l’arrivo di mille pescherecci
cinesi. Una situazione che preoccupa come conferma Francesco Sisci, corrispondente
da Pechino per il Sole 24 Ore, al microfono di Cecilia Seppia:
R. – In passato
c’erano state manifestazioni antigiapponesi a cose avvenute e per cose che erano già
state esaurite. Adesso, invece, la questione delle isole Senkaku, chiamate così da
giapponesi, o Diaoyu dai cinesi, è in divenire. I giapponesi controllano queste isole
e certamente non potranno lasciarle per le proteste dei dimostranti. Questo è un elemento
di grande incertezza per il futuro di queste stesse manifestazioni. Altro elemento
di grande incertezza è la violenza verbale di queste manifestazioni. I cinesi, o almeno
alcuni cinesi, stanno gridando slogan particolarmente violenti, rispetto al passato:
“schiacciate Tokyo”, “bombardate il Giappone”. Questi elementi di novità sono, secondo
me, estremamente preoccupanti, perché non si sa bene cosa potrebbero portare nel futuro.
D. – Su questa vicenda anche l’intervento degli Stati Uniti, che spingono
per una soluzione pacifica. Il segretario alla Difesa americana, Panetta, però, ha
riaffermato gli obblighi del Trattato di sicurezza con Tokyo, in forza del quale gli
Usa sono tenuti a difendere l’alleato, se aggredito. Questo cosa vuol dire?
R.
– Non stiamo qui a vedere l’ultimo stadio di una guerra tra Cina e Giappone. Il problema
di agire per gli Stati Uniti non esiste, secondo me, nel senso che non credo sia possibile
o anche pensabile, veramente e realisticamente, che la Cina e il Giappone vengano
alle mani. Siamo molto, molto lontani. E’ una questione molto più interna alla Cina
stessa, ma che comunque preoccupa. Alcuni giovani cinesi stanno usando quest’occasione
per attaccare il loro governo, perché è considerato troppo riformista, troppo filo
straniero, e invece questi giovani sono, in termini nostri – che in realtà sarebbero
inappropriati – parafascisti.
D. – Subito dopo l’annuncio della nazionalizzazione
di queste isole da parte di Tokyo, sono cominciate le manovre dei militari della Cina
sulle coste, e stasera dovrebbero arrivare oltre mille pescherecci cinesi. Quindi,
lei dice che siamo lontani da una guerra, però, di fatto, la Cina sta mostrando il
pugno duro...
R. – Ci sono delle dimostrazioni di forza da parte della Cina
su queste isole, ma ripeto siamo ben lontani da un confronto militare con il Giappone.
D.
– Anche il premier giapponese Noda ha detto che la questione sta avendo un fortissimo
impatto sulla sicurezza pubblica, sta danneggiando anche i beni di proprietà giapponese.
Tra l’altro, oggi, l’annuncio che due giganti dell’elettronica come Panasonic e Canon
hanno sospeso l’attività in tre sedi cinesi, prese d’assalto nei giorni scorsi...
R.
– E’ vero però, attenzione ai dettagli. Tante persone stanno protestando. E’ vero
che ci sono proteste in 80 città, ma è anche vero che in ciascuna di queste proteste
ci sono poche migliaia di persone. E’ vero che alcune attività di alcune agenzie giapponesi
stanno chiudendo, ma quanti sono gli investimenti, quant’è grande la presenza dei
giapponesi in Cina? E’ una cosa significativa e bisogna monitorarla e starci attenti,
però non bisogna gonfiarla e farla uscire dalla realtà.