Proteste nel mondo islamico: gli Usa evacuano le ambasciate in Tunisia e Sudan
Non si allentano le tensioni nel mondo islamico in seguito alla diffusione del film
blasfemo su Maometto. Manifestazioni di protesta si sono registrate questa mattina
in Afghanistan, ad Herat e a Kabul, e in Turchia. Intanto gli Stati Uniti hanno evacuato
le ambasciate in Tunisia e Sudan, mentre 50 persone sono state arrestate in Libia
per connessioni con l'attacco al consolato Usa di Bengasi. “È probabile che i disordini
nel mondo musulmano contro il film proseguano anche nei prossimi giorni”, ha affermato
il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Leon Panetta, “ma le violenze sembrano
livellarsi”. Il servizio di Michele Raviart:
Lo staff diplomatico“non
essenziale” deve abbandonare le ambasciate di Tunisi e Khartoum, mentre i cittadini
americani sono invitati a lasciare la Tunisia e a non partecipare a “nessuna manifestazione,
neanche pacifica”. L’allerta del Dipartimento di Stato americano testimonia come rimanga
alta la tensione tra Stati Uniti e mondo islamico dopo la diffusione del film “L’innocenza
dei musulmani” e la morte a Bengasi dell’ambasciatore americano in Libia Chris Stevens
e altri tre connazionali. Bandiere a stelle e strisce bruciate e slogan inneggianti
alla “morte dell’America”, hanno segnato le manifestazioni in Bangladesh e in Afghanistan,
dove questa mattina a Kabul 1.500 studenti sono scesi in piazza per protestare contro
il film anti-islam. Contestazioni dure ma senza vittime, al contrario di quelle che
nei giorni scorsi avevano provocato due morti in Sudan e quattro vittime e 49 feriti
in Tunisia, tra cui un militare del personale diplomatico dell’ambasciata di Spagna.
E mentre in Indonesia è stato bloccato l’accesso a internet a 16 siti che ospitavano
il film, in Iran una fondazione ha innalzato di mezzo milioni di dollari la taglia
sulla testa di Salman Rushdie, vittima di una fatwa del 1988 per i suoi scritti. “Fin
quando lo scrittore indiano non sarà ucciso”, riferisce l’agenzia iraniana Fars, “continueranno
gli oltraggi all’Islam”.
Per una riflessione sul film anti-islamico e sulla
natura delle proteste che ha scatenato, Fabio Colagrande ha intervistato padre
Samir Khalil Samir, docente dell’Università Saint Joseph di Beirut:
R. – Questo
film è una provocazione fortissima e trattandosi del fondatore dell’islam certamente
è un attacco ai musulmani. D’altra parte, si deve dire che non è ammissibile che un
attacco verbale o un film provochi una risposta di violenza fisica, di distruzione.
Questo purtroppo sta succedendo troppo spesso nel mondo islamico. Devo notare che,
per esempio, in India è successa una cosa simile in questi giorni, ma subito gli imam
hanno detto di non reagire con la violenza fisica e ciò vuol dire, quindi, che c’è
una presa di coscienza. Infine, un conto è che una persona, un gruppo o un regista
abbia fatto una violenza visibile, verbale, non fisica, all’islam, e un conto è dire
che l’America stia dietro a tutto. Questo è l’errore che si fa spesso da noi: generalizzare
dicendo che sia l’America, che sia l’Europa, che sia l’Occidente oppure i cristiani.
Questo appartiene ad una mentalità medievale e il senso della "Primavera araba" è
proprio uscire da questa mentalità medievale.
D. – Lei pensa che dietro a questi
atti di violenza ci siano anche i piani di qualche organizzazione fondamentalista?
R.
– Certamente, perché quando hanno attaccato in Libia, sono venuti con le armi e non
si fa per caso. Poi, mi domando se, per il fatto che sia accaduto l’11 settembre,
non fosse voluto. La diffusione quasi simultanea di questo movimento dice che c’è
un piano dietro: c’è gente pronta ad intervenire. I musulmani dicono: “Noi siamo musulmani,
siamo religiosi, ma lasciateci vivere la nostra fede come la intendiamo, non venite
ad obbligarci ad essere musulmani a modo vostro, a modo dei fondamentalisti, dei salafiti”.