2012-09-14 14:18:49

Sud Sudan: emergenza per il rimpatrio forzato di migliaia di persone


Emergenza umanitaria in Sud Sudan, il più giovane Paese africano nato, dopo anni di guerra civile, con l’indipendenza dal Nord raggiunta a luglio 2011. In seguito alla secessione, migliaia di persone residenti al Nord ma originarie del Sud sono costrette a rimpatriare. Affrontano viaggi lunghi e pericolosi e gravi difficoltà, come spiega, nell’intervista di Luca Pasquali, Ylenia Danini di “SOS Villaggi dei Bambini”, una Onlus che ha allestito due campi di assistenza nella regione:RealAudioMP3

R. – La Sos villaggi dei bambini è un’organizzazione internazionale che si impegna da più 60 anni nell’accoglienza di bambini privi di cure familiari e sviluppa programmi di rafforzamento famigliare per famiglie in difficoltà. Sos villaggi Opera in 133 Paesi del mondo, quindi l’Italia compresa, e aiuta di due milioni di persone.

D. – Qual è l’attuale situazione nel Sud Sudan?

R. – In seguito alla secessione e alla dichiarazione di indipendenza del 2011, il governo del nord di Karthoum ha obbligato le persone che risiedevano al nord ma originarie del Sud al rimpatrio forzato. E’ una situazione in cui persone che non hanno mai visto il sud ma tantomeno ci hanno vissuto sono pronte a lasciare tutto, perdono tutto, il lavoro, la casa, tutto quello che avevano costruito negli anni, per spostarsi al sud. Il Sud Sudan peraltro è uno Stato molto povero, privo di quelle risorse necessarie per accogliere le centinaia di migliaia di cui si parla di persone forzate al rimpatrio. Questo comporta ovviamente che queste persone, oltre a non conoscere il territorio, non sanno dove recarsi e quindi vengono accolte in questi centri di transito. I centri di transito sono quelli di Malakal e Juba nei quali Sos villaggi dei bambini ha avviato alcuni centri temporanei di supporto all’infanzia in cui ci sono sia attività di tipo ludico e educativo sia supporto psicologico per i bambini. Come si può immaginare oltre a giornate estenuanti, spesso questi bambini hanno vissuto anche veri e propri combattimenti, hanno rischiato la morte nel trasferimento dal nord al sud.

D. – Quali prospettive possono avere nell’immediato futuro queste persone?

R. – E’ molto difficile da dirsi. Non avendo idea di che cosa fare, di dove andare, sono costretti a rimanere per mesi nei centri di transito e magari a vedere alcuni familiari spostarsi per andare a cercare un modo per sopravvivere nel sud. Quello che stiamo cercando di fare oltre ad avviare questi centri Sos e a supportare l’infanzia è valutare l’accoglienza temporanea di alcuni di questi bambini e allo stesso tempo avviare le procedure di ricongiungimento famigliare nel momento in cui sono o bambini non accompagnati o bambini orfani per i quali cerchiamo di capire se ci sono ancora parenti alla lontana o parenti di amici che possano prendersi cura di loro.

D. – Quali sono le principali difficoltà a cui dover fare fronte attualmente e di che cosa c’è più bisogno?

R. – Le difficoltà sono enormi, come accennavo prima. Si pensa che si perde tutto e si perde tutto anche ciò che si è costruito. Tra l’altro, da uno Stato che si conosce ci si trasferisce in uno Stato la cui origine è pressoché sconosciuta e in realtà ci sono molte differenze a partire dalla lingua. L’arabo è simile, ma parlano principalmente inglese nel sud. Anche per quanto riguarda il cibo, al momento, per esempio, nei centri di transito c’è disposizione solo di cibo base che è un cereale bollito mentre invece i bambini erano abituati al nord a mangiare frutta, latte, e quindi hanno fame. Tra l’altro questa tipologia di cibo base rischia anche di causare la diarrea, soprattutto nei più piccoli. A questo si sommano le violenze, gli scontri che continuano soprattutto nel viaggio tra il nord e il sud e le migliaia e migliaia di persone che sono ancora da rimpatriare.

D. – In Sudan la religione dominante è l’islam, nel Sud Sudan invece c’è una forte componente cristiana, quanto influisce la questione religiosa su questa situazione?

R. – Per quanto riguarda il nostro lavoro preferiamo che la questione religiosa non incida nelle nostre attività nel senso che noi in tutto il mondo ci siamo sempre mossi, abbiamo sempre sostenuto la popolazione indipendentemente dal credo religioso. Sicuramente, purtroppo, all’origine di questi scontri c’è anche una dinamica di questo tipo.

D. – Qual è l’attenzione della comunità internazionale e come la si può ulteriormente sensibilizzare?

R. - Noi stiamo provando a fare la nostra parte, quello che possiamo dire è di recarsi sul nostro sito che è www.sositalia.it e aiutarci a sostenere la popolazione. Noi continueremo a sostenerla tramite le attività di accoglienza per bambini a livello temporaneo e con il sostegno alle famiglie. Quello che chiediamo è di sostenerci anche attraverso le adozioni a distanza. Abbiamo due villaggi Sos in cui accogliamo più di 200 bambini, quindi potete darci una mano, ve ne saremo eternamente grati.

D. – La vostra Onlus opera in oltre 130 Paesi nel mondo. Data la vostra esperienza sul campo quali sono i principali luoghi oggi in cui c’è maggiore bisogno di aiuto?

R. – Purtroppo sono tanti, non sono solo in Africa. E’ chiaro che la nostra presenza in questi 133 Paesi si suddivide nelle aree che hanno più bisogno ma non solo. Sicuramente la concentrazione è di più in Asia e in Africa, ma anche in America Latina. Purtroppo, è molto difficile dire le aree in cui c’è più bisogno.







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