Il Giappone decide un’uscita graduale dal nucleare in 30 anni
“Il Giappone attuerà tutte le misure possibili per eliminare la produzione nucleare
entro i prossimi 30 anni”. E’ quanto annunciato oggi dal premier nipponico Yoshihiko
Noda, dopo la riunione di governo che ha approvato il nuovo piano energetico nazionale
messo a punto a seguito del disastro di Fukushima del marzo 2011. Poche ore prima
il presidente francese, Hollande, ha annunciato la chiusura della centrale nucleare
di Fessenheim, la più vecchia di Francia. Per un commento sulla fattibilità del piano
giapponese e sul futuro dell’impiego dell’atomo Marco Guerra ha sentito Valerio
Rossi Albertini, fisico del Cnr:
R. - Un conto
è spegnere i reattori, cioè far sì che non producano più energia e che la loro parte
calda, la loro parte attiva, si spenga progressivamente; altro conto è dismettere,
cioè recuperare il territorio in maniera tale che non rimanga più traccia della centrale.
Noi abbiamo l’esempio dell’Italia con il referendum abrogativo della fine degli anni
ottanta, quando abbiamo iniziato il processo di smantellamento, che però è ancora
allo stadio iniziale. Chiudere le centrali è possibile, ma riuscire a smantellarle
in maniera sicura è un’altra questione che forse comporterà tempi più lunghi.
D.
- Mai, come in questo caso, si pone il problema irrisolto dello stoccaggio delle scorie.
Pare che il Giappone non intenda processarle ma seppellirle, dal momento che intende
abbandonare il nucleare…
R. - Il Giappone, lo abbiamo visto proprio l’anno
scorso a Fukushima, è una terra molto instabile dal profilo geologico, in cui si possono
scatenare dei terremoti devastanti. E quindi è chiaro che nessun sito che sia predisposto
per lo stoccaggio, potrà essere considerato perfettamente sicuro. Allora, sarebbe
opportuno, pensare ad un sistema per rendere inattive le scorie che sia più efficace
della semplice sepoltura.
D. - Per affrancarsi dall’atomo, Tokyo guarda al
geotermico, biomasse, eolico ed energia delle maree oceaniche. Con queste fonti combinate
il ministro dell’Ambiente ha stimato di aumentare di 6 volte volte la capacità di
generazione elettrica rinnovabile. È plausibile una stima del genere, o si ricorrerà
ai soliti combustibili fossili come gas e petrolio?
R. - Il Giappone ha delle
risorse economiche, soprattutto quando deciderà di non investire più nel nucleare,
che verrebbero rese disponibili a questo scopo. Il Giappone poi si trova su una zona
calda; è vicino ad una faglia oceanica laddove la produzione di calore geotermico
è molto intenso, quindi potrebbero puntare in maniera massiccia su questa forma di
produzione di energia. Il problema è esclusivamente di carattere politico, non è di
carattere tecnico: ci sono tutti gli strumenti adesso per sopperire alle necessità
di produzione energetica. Il Giappone può farlo, e sarebbe quanto mai opportuno avere
un Paese distante dall’Europa, che così come sta facendo la Germania, la Svizzera
e tanti altri Paesi, inizi a pensare seriamente a basare la propria produzione energetica
su fonti rinnovabili. Per quanto riguarda i combustibili fossili, anche quelli sono
ad esaurimento, quindi non potranno mai essere la risposta alla nostra fame di energia.
D.
- Da una parte Germania, Svizzera, Belgio e Giappone hanno avviato piani per la completa
dismissione delle centrali. Dall’altra si stima che in tutto il mondo sono in costruzione
decine di nuovi reattori. Quale futuro si prospetta per il nucleare?
R. - Non
c’è un piano unitario. E quindi i Paesi che sono più evoluti stanno concludendo o
hanno concluso questa fase transitoria, che era la produzione di energia sotto forma
nucleare, tenderanno progressivamente a ridurre e a concludere la loro esperienza
nucleare. Altri Paesi invece, meno sviluppati e che hanno grande fame di energia,
come ad esempio l’India e la Cina, stanno puntando sul nucleare proprio per sopperire
alle necessità che si stanno presentando per sostenere il loro sviluppo tumultuoso.
In pratica quello che avverrà nel prossimo futuro, sarà uno sbilanciamento. Ma alla
stessa stregua dei combustibili fossili, anche le riserve di uranio, che è l’equivalente
del combustibile nucleare, è in quantità limitata. Le stime sono di una quarantina
d’anni ancora di disponibilità, e quindi tutti quanti i Paesi, anche quelli che adesso
stanno puntando sul nucleare, avranno la necessità di ripensare la loro politica e
di orientarsi verso metodi di produzione di energia più sostenibili, cioè le rinnovabili.