Divampa la protesta nel mondo islamico: vittime in Sudan, Tunisia e Libano
Dilaga la protesta scatenata dal film, ritenuto blasfemo, su Maometto. In Sudan 4
persone sono rimaste uccise durante l’assalto all’ambasciata americana a Khartoum.
Proteste anche in Tunisia, dove sono almeno tre le vittime. Nel nord del Libano una
persona è morta a Tripoli, seconda città del Paese, durante scontri tra polizia e
manifestanti. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
In Sudan almeno
10 mila manifestanti hanno assediato l’ambasciata statunitense a Khartoum. In precedenza,
sempre a Khartoum, erano state attaccate le sedi diplomatiche di Gran Bretagna e Germania,
dove è stato issato un vessillo islamico al posto della bandiera tedesca. La rivolta,
iniziata l’11 settembre, infiamma anche la Tunisia, dove scontri sono avvenuti a Tunisi
davanti alla sede diplomatica americana. Ancora tensioni in Egitto: al Cairo sono
oltre 200 i feriti negli scontri delle ultime ore. La base della forza di pace multinazionale
di osservatori in Sinai ha lanciato lo stato di allerta dopo essere stata circondata
da decine di manifestanti salafiti. Manifestazioni anche in Pakistan dove in diverse
città si sono tenuti cortei anti americani dopo la tradizionale preghiera del venerdì.
Nello Yemen – riferisce la Cnn - stanno arrivando marines e reparti speciali statunitensi
per proteggere il personale diplomatico dell’ambasciata Usa a Sanaa. Proteste si registrano
anche in Asia e in particolare in Bangladesh, Malaysia, India e Indonesia. In Libano
una persona è morta a Tripoli, nel nord del Paese, dove una folla ha dato alle fiamme
un ristorante di una catena americana. La Casa Bianca ribadisce infine di non essere
responsabile del filmato su Maometto prodotto negli Stati Uniti. Si tratta di un video
– ha detto il portavoce della Casa Bianca - “offensivo e disgustoso”, ma “non c’è
giustificazione alla violenza”.
Per un commento sulle tensioni che stanno coinvolgendo
il mondo islamico, Massimiliano Menichetti ha intervistato padre Paolo
Dall’Oglio, gesuita, esperto del mondo arabo:
R. - Non posso
che esprimere dolore per le vittime, è una tragedia. Questi estremismi costituiscono
anche una sfida al pensiero musulmano, al pensiero politico, al futuro. Soffriamo
tutti di queste febbri, di queste piaghe terroristiche, e bisogna lavorare per curarle
in profondità.
D. - Come uscire da questa spirale di violenza che infiamma
dalla Libia allo Yemen?
R. – C’è una cura che è quella militare, la sicurezza,
l’intelligence e questo serve per eliminare i guai immediati. Ma ormai deve essere
chiaro a tutti che siamo di fronte a vasti fenomeni culturali. Innanzitutto il mondo
musulmano è toccato in se stesso: la propria autocoscienza, la propria auto-programmazione,
il proprio lavoro di educazione, ma poi la logica di solidarietà tra credenti, la
logica di fraternità in Abramo, ci coinvolge tutti.
D. - Questo vuol dire che
comunque serve maggiore impegno nel dialogo?
R. - E’ sciocco chiunque pensi
che solo le soluzioni militari o repressive possano risolvere. Ricordo che nel 2001
dissi: senza dialogo approfondito, senza crescita nella relazione - perché l’inimicizia
si alimenta di ignoranza, di rifiuto istintivo, di mancanza di comunicazione profonda
-senza tutto questo, senza dialogo, ci saranno uno, cento, mille Bin Laden. Oggi i
Bin Laden sono molte migliaia e quindi probabilmente abbiamo imboccato una strada
sbagliata. Accanto alla repressione ci vuole “qualche altra cosa” e questo “qualche
altra cosa” non si riesce a realizzarlo.
D. - Ma in concreto in questo momento
di fronte agli attacchi terroristici e agli assalti alle ambasciate come ci si deve
porre?
R. – Attivare tutte le capacità di ammortizzazione di questi eventi
vergognosi, attraverso la capacità tra cristiani, musulmani, ebrei, gente di buona
volontà, di amici della verità. Tutti devono intervenire immediatamente ed estinguere
questi focolai prima che siano utilizzati da politici malintenzionati e provochino
altri incendi terribili.