2012-09-13 08:11:26

Dopo l'attentato contro il consolato USA a Bengasi, Obama invia due navi da guerra in Libia


E' ancora altissima la tensione in Libia dopo l’attacco sferrato contro il consolato USA di Bengasi; attentato che ha causato la morte dell’ambasciatore statunitense Chir Stevens e di tre funzionari e che segue la produzione di un film che offende la religione islamica. Il servizio è di Salvatore Sabatino: RealAudioMP3

Sarebbe solo un pretesto quello del film blasfemo. In realtà alla base dell’attacco di Bengasi ci sarebbe un’operazione terroristica pianificata in grande stile da Al Qaeda, per vendicare l’uccisione del suo numero due al Libi; un nuovo 11 settembre – e la data scelta è stata proprio quella – per far capire agli americani che la rete del terrore è tutt’altro che sconfitta. Una sfida a Washington, insomma, che risponde inviando nell’area due navi da guerra, un numero imprecisato di droni, 200 marine. Tutti i cittadini statunitensi, inoltre – diplomatici e non – dovranno lasciare immediatamente il Paese, mentre l’ambasciata di Tripoli sarà solo un’unità di emergenza. “Resteremo vigili– ha tuonato Obama – ma non molliamo”, ha poi aggiunto. “La responsabilità è di pochi – ha riferito invece, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton – la quale conferma che l’impegno per una Libia libera e stabile rimarrà prioritario”. E se l'avversario di Obama nella corsa alla Casa Bianca, Romney, lo attacca, il mondo è solidale al presidente: Onu, Nato, Unione europea, e poi i capi di Stato di singoli Paesi. La condanna è unanime come il cordoglio per le vittime e la richiesta alle autorità libiche di protezione per i funzionari stranieri. Ma a Washington non si nascondono le preoccupazioni per un’ondata di violenza che potrebbe propagarsi a dismisura. Sotto osservazione, ad esempio, è la situazione al Cairo, dove una folla di manifestanti è tornata ad assediare anche ieri l'ambasciata statunitense. Tensione alta pure in Tunisia, a Gaza, così come in Afghanistan, dove i talebani hanno minacciato vendette contro il film incriminato. Della gravità dell'episodio del difficile contesto libico e del film Fausta Speranza ha parlato con mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli.

R. – La Libia si trova in un momento particolare di crescita, con le elezioni e poi dopo le elezioni la scelta del nuovo governo. Abbiamo bisogno di una certa tranquillità, una certa serenità, per poter anche aiutare la gente a fare le proprie scelte, a camminare - come si dice - con i propri piedi. Tutto ciò che capita e che sta capitando proprio in relazione alla propria sensibilità e anche la propria religione certamente non giova anche sul piano politico. Maometto è la persona in cui si identifica la comunità arabo-musulmana e quindi toccare questa figura è qualcosa di molto grave. Non ci si rende conto. Si può parlare di questioni politiche e non si può essere d’accordo ma, quando si tocca Maometto, diventano assolutamente tutti sensibili e attenti e si identificano tutti in lui. Io non so questo film di che cosa esattamente parli però se ha toccato la sensibilità del mondo arabo parlando in qualche modo non rispettoso di Maometto sicuramente non fa bene.
D. – In Libia oltre alla precarietà, alla sensibilità, come diceva lei, sul piano religioso, però da parte della gente c’è anche la voglia di pace…
R. – Tutti vogliono la pace però ci sono già conflitti interni di estremismi, di fondamentalismi, che si fanno avanti. Quindi questi fatti che vengono dall’esterno aumentano e accrescono la rabbia di questa gente che va trovando e cerca veramente la pace all’interno della comunità.

Poche ore prima il sanguinario attentato a Bengasi, anche in Egitto, c'era stato un tentativo di assalto all'ambasciata degli Usa al Cairo. Nell'intervista di Fausta Speranza, la riflessione del prof. Marco Lombardi, docente di politiche della sicurezza all'Università Sacro Cuore di Milano: RealAudioMP3

R. – In termini di quadro generale abbiamo un’enorme polveriera, che va dall’Egitto alla Tunisia. Questo dobbiamo averlo in testa. Nello specifico della Libia, abbiamo un Paese altamente frammentato tra interessi tribali e interessi del radicalismo più o meno jihadista e un governo nazionale che sta cercando di fare qualcosa. Siamo quindi nella totale incertezza del dopo-Gheddafi.

D. – Leghiamo anche l’altro episodio, perché anche al Cairo c’è stato un tentativo di attacco all’ambasciata con dichiarate proteste per il film sulla vita di Maometto che risulta offensivo per l’islam. Quindi c’entra questo discorso religioso…

R. – Certamente c’entra questo discorso religioso, in quanto – come sempre nell’islam – politica e religione vanno di pari passo. Quindi dobbiamo sempre tenere in considerazione questa dimensione più ampia e che in sé non è contestabile. Ricordiamo che in relazione ai fumetti pubblicati qualche anno fa in Danimarca ci sono state dimostrazione con centinaia di migliaia di persone, che hanno messo a ferro e fuoco in Medio Oriente ambasciate occidentali. Quindi, ce la si poteva aspettare. Rispetto alla zona, come stavo dicendo, siamo di fronte ad una progressione del radicalismo in tutto il Nord Africa: l’Egitto ne è una dimostrazione. Ancora più drammatica la dimostrazione libica, perché inserita in un contesto di guerra – diciamocelo pure – o di non controllo tribale, etnico, religioso e politico della Libia. Ma attenzione! Qualcosa si sta estendendo sulla Tunisia. In questi ultimi mesi e in queste ultime settimane abbiamo visto come - in maniera surrettizia, se vogliamo – di fatto la legge islamica radicale, quella cioè che è intesa come sharia, stia diventando legge di governo semplicemente riappellandosi al primo articolo della Costituzione che dice che la religione islamica è religione di Stato. La conseguenza è che tutto quello che non è coerente con la religione islamica è fuorilegge. Quindi con manifestazioni diverse – in Egitto con una manifestazione contro il film; in Libia con un attacco con omicidio; e in Tunisia con aspetti normativi – stiamo di fatto assistendo ad una progressiva e drammatica radicalizzazione del Nord Africa. Questo è il punto politico fondamentale. E’ eccessivo forse dirlo per ora ma il Nord Africa potrebbe essere il nuovo Afghanistan.

D. - In tutto questo, proviamo a spendere una parola per questo film, che è provocatorio, che risulta offensivo e che in questo momento storico, meno che mai, non ci voleva…
R. – Qui ci va un po’ di intelligenza. Concordo con lei. Io credo che sia del tutto inutile richiamarsi alla libertà di espressione: bisogna essere liberi di esprimersi, ma secondo me bisogna anche considerare sempre quali sono le conseguenze della propria comunicazione e, dunque, assumersi le responsabilità. Detto in altri termini: un po’ di intelligenza strategica, quando si raccontano delle cose a un pubblico, sapendo quelle che potrebbero essere le reazioni, secondo me è richiesta. E’ evidente che un film del genere avrebbe causato delle derive come quelle che sono avvenute. E’ un momento storicamente difficile per tutti noi e ciascuno di noi è chiamato ad assumersi nel suo piccolo le sue responsabilità, anche chi produce un film!











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