Libia: ucciso l’ambasciatore americano. Obama:giustizia sarà fatta. Forse c'è la mano
di Al Qaeda
Reazioni di condanna e sdegno si susseguono in queste ore in tutto il mondo per l’attentato
di martedì sera al consolato Usa di Bengasi in Libia che ha provocato la morte dell’ambasciatore
Christopher Stevens e di tre funzionari. "Vogliamo che sia fatta giustizia" ha detto
il presidente Obama “ma il legame con la Libia non sarà interrotto”. La dinamica dell’attacco,
che secondo la Cnn sarebbe stato pianificato da Al Qaeda, resta ancora da chiarire,
mentre il motivo sembra legato alle proteste contro il film L’innocenza dei musulmani,
prodotto negli Stati Uniti e giudicato blasfemo. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Gli Stati Uniti
ricordano Chris Stevens e i suoi tre collaboratori come degli eroi, che amavano la
Libia. "Siamo vicini alle loro famiglie", afferma il presidente Obama, "lavoreremo
con le autorità per assicurare i colpevoli di questo atto insensato alla giustizia"
e giustizia sarà fatta. Rifiutiamo i tentativi di denigrare la fede religiosa altrui,
ma non c’è alcuna giustificazione per questo violenza, sottolinea Obama, assicurando
che il legame con la Libia non si spezzerà. La responsabilità è di pochi, dice anche
il segretario di Stato Clinton, dunque l’impegno per una Libia libera e stabile rimarrà
prioritario. Poi l’appello ad essere uniti. E se l'avversario di Obama nella corsa
alla Casa Bianca, Romney, lo attacca, il mondo è solidale al presidente. Onu, Nato,
Unione europea, e poi i capi di Stato di singoli Paesi. La condanna è unanime come
il cordoglio per le vittime e la richiesta alle autorità libiche di protezione per
i funzionari stranieri. Secondo la Nbc sarebbero 200 i marines destinati alle sedi
diplomatiche di Tripoli e Bengasi per ragioni di sicurezza. Garantisce anche il governo
libico col presidente che si è anche scusato per l’accaduto. Reazioni diverse intanto
nel mondo arabo. Preoccupa la chiamata a raccolta per una vendetta, dei talebani afghani,
nonostante Kabul abbia censurato youtube per bloccare la circolazione del film incriminato.
L'Iran ritiene ignobile la pellicola incriminata. Proteste sono in corso a Tunisi
e al Cairo i Fratelli musulmani hanno deciso di scendere in piazza venerdì. Ma la
ragione profonda dell’accaduto resta ancora da stabilire, se questa sera, la CNN,
citando fonti americane, dice che il film potrebbe essere stato solo un diversivo
per un attentato pianificato da Al Qaeda, e che droni americani potrebbero sorvolare
Bengasi e altre localita' nell'est della Libia pronti a colpire chi ha effettuato
l'attacco alla sede diplomatica.
Della gravità dell'episodio nel difficile
contesto libico e del film Fausta Speranza ha parlato con mons. Giovanni
Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli:
R. – La Libia
si trova in un momento particolare di crescita, con le elezioni e poi dopo le elezioni
la scelta del nuovo governo. Abbiamo bisogno di una certa tranquillità, una certa
serenità, per poter anche aiutare la gente a fare le proprie scelte, a camminare -
come si dice - con i propri piedi. Tutto ciò che capita e che sta capitando proprio
in relazione alla propria sensibilità e anche la propria religione certamente non
giova anche sul piano politico. Maometto è la persona in cui si identifica la comunità
arabo-musulmana e quindi toccare questa figura è qualcosa di molto grave. Non ci si
rende conto. Si può parlare di questioni politiche e non si può essere d’accordo ma,
quando si tocca Maometto, diventano assolutamente tutti sensibili e attenti e si identificano
tutti in lui. Io non so questo film di che cosa esattamente parli però se ha toccato
la sensibilità del mondo arabo parlando in qualche modo non rispettoso di Maometto
sicuramente non fa bene.
D. – In Libia oltre alla precarietà, alla sensibilità,
come diceva lei, sul piano religioso, però da parte della gente c’è anche la voglia
di pace…
R. – Tutti vogliono la pace però ci sono già conflitti interni di
estremismi, di fondamentalismi, che si fanno avanti. Quindi questi fatti che vengono
dall’esterno aumentano e accrescono la rabbia di questa gente che va trovando e cerca
veramente la pace all’interno della comunità.
Poche ore prima il sanguinario
attentato a Bengasi, anche in Egitto, c'era stato un tentativo di assalto all'ambasciata
degli Usa al Cairo. Nell'intervista di Fausta Speranza, la riflessione del
prof. Marco Lombardi, docente di politiche della sicurezza all'Università Sacro
Cuore di Milano:
R. – In termini
di quadro generale abbiamo un’enorme polveriera, che va dall’Egitto alla Tunisia.
Questo dobbiamo averlo in testa. Nello specifico della Libia, abbiamo un Paese altamente
frammentato tra interessi tribali e interessi del radicalismo più o meno jihadista
e un governo nazionale che sta cercando di fare qualcosa. Siamo quindi nella totale
incertezza del dopo-Gheddafi.
D. – Leghiamo anche l’altro episodio, perché
anche al Cairo c’è stato un tentativo di attacco all’ambasciata con dichiarate proteste
per il film sulla vita di Maometto che risulta offensivo per l’islam. Quindi c’entra
questo discorso religioso…
R. – Certamente c’entra questo discorso religioso,
in quanto – come sempre nell’islam – politica e religione vanno di pari passo. Quindi
dobbiamo sempre tenere in considerazione questa dimensione più ampia e che in sé non
è contestabile. Ricordiamo che in relazione ai fumetti pubblicati qualche anno fa
in Danimarca ci sono state dimostrazione con centinaia di migliaia di persone, che
hanno messo a ferro e fuoco in Medio Oriente ambasciate occidentali. Quindi, ce la
si poteva aspettare. Rispetto alla zona, come stavo dicendo, siamo di fronte ad una
progressione del radicalismo in tutto il Nord Africa: l’Egitto ne è una dimostrazione.
Ancora più drammatica la dimostrazione libica, perché inserita in un contesto di guerra
– diciamocelo pure – o di non controllo tribale, etnico, religioso e politico della
Libia. Ma attenzione! Qualcosa si sta estendendo sulla Tunisia. In questi ultimi mesi
e in queste ultime settimane abbiamo visto come - in maniera surrettizia, se vogliamo
– di fatto la legge islamica radicale, quella cioè che è intesa come sharia, stia
diventando legge di governo semplicemente riappellandosi al primo articolo della Costituzione
che dice che la religione islamica è religione di Stato. La conseguenza è che tutto
quello che non è coerente con la religione islamica è fuorilegge. Quindi con manifestazioni
diverse – in Egitto con una manifestazione contro il film; in Libia con un attacco
con omicidio; e in Tunisia con aspetti normativi – stiamo di fatto assistendo ad una
progressiva e drammatica radicalizzazione del Nord Africa. Questo è il punto politico
fondamentale. E’ eccessivo forse dirlo per ora ma il Nord Africa potrebbe essere il
nuovo Afghanistan.
D. - In tutto questo, proviamo a spendere una parola per
questo film, che è provocatorio, che risulta offensivo e che in questo momento storico,
meno che mai, non ci voleva…
R. – Qui ci va un po’ di intelligenza. Concordo
con lei. Io credo che sia del tutto inutile richiamarsi alla libertà di espressione:
bisogna essere liberi di esprimersi, ma secondo me bisogna anche considerare sempre
quali sono le conseguenze della propria comunicazione e, dunque, assumersi le responsabilità.
Detto in altri termini: un po’ di intelligenza strategica, quando si raccontano delle
cose a un pubblico, sapendo quelle che potrebbero essere le reazioni, secondo me è
richiesta. E’ evidente che un film del genere avrebbe causato delle derive come quelle
che sono avvenute. E’ un momento storicamente difficile per tutti noi e ciascuno di
noi è chiamato ad assumersi nel suo piccolo le sue responsabilità, anche chi produce
un film!