Appello da Sarajevo: l'odio non viene da Dio. Mons. Paglia: diventi esempio di convivenza
tra i popoli
Con l’appuntamento a Roma nel 2013, si è concluso martedì scorso a Sarajevo, in Bosnia,
l’incontro delle religioni mondiali per la pace, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio.
Tre giorni di incontri tra leader di tutte le fedi, personalità politiche e intellettuali
di ogni parte del mondo riunitisi per discutere delle tematiche e delle sfide più
urgenti per la società di oggi. Dal palco, allestito nel centro storico della capitale
della Bosnia ed Erzegovina, si è levato l’appello di pace. Da Sarajevo, Francesca
Sabatinelli:
Sarajevo,
terra ferita dall’ultima guerra combattuta in Europa, insanguinata dall’odio tra vicini,
tra diverse religioni e differenti etnie, è divenuta martedì sera depositaria dello
spirito di Assisi e ora si farà portatrice di quel messaggio di pace che richiama
le religioni tutte al dovere di insegnare a vivere insieme attraverso il dialogo,
la stima reciproca, il rispetto della libertà e della differenza. L’appello letto
a conclusione dell’incontro e alla presenza di tutti i capi religiosi, nega che odio,
divisione, violenza, stragi e genocidi vengano da Dio, chiede che in nessun altro
luogo si faccia la guerra in nome delle differenze, perché al contrario vivere tra
diversi è molto fecondo. Soprattutto, nel messaggio, si rende omaggio a Sarajevo,
città che è tornata nelle emozionate parole del cardinale Roger Etchegaray, che dal
palco ha raccontato di quando nella Sarajevo assediata entrò come inviato di Giovanni
Paolo II. Alla città il porporato ha chiesto di avere coraggio, ai suoi abitanti di
tornare a imparare a vivere insieme, senza preconcetti, forti di un passato segnato
da tolleranza religiosa e da scambi culturali. La storia di Sarajevo è un ammonimento,
è stato il richiamo di Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, che ha sottolineato
quanto già ripetuto in questi giorni: il futuro di questa regione riguarda gli europei.
Sarajevo deve restare una e plurale, e proprio da qui si è alzata quindi l’invocazione:
mai più odi e guerre fratricide. Le religioni possono aiutare a vivere insieme e a
comprendere che questa condizione non è una maledizione ma una benedizione.
Tra
i partecipanti al meeting anche mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio
Consiglio per la Famiglia e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio,
che al microfono della nostra inviata Francesca Sabatinelli sottolinea l’importanza
di essere venuti a Sarajevo, città che può tornare a essere esempio della convivenza
tra i popoli:
R. – Non c’è
dubbio che la Bosnia, e in particolare Sarajevo, resti una delle aree più delicate
dell’Europa. Per questo era urgente venire a Sarajevo per dare un messaggio diverso.
Vedere ortodossi serbi, in particolare il Patriarca, varcare le porte della città
non solo, anche quelle della chiesa cattolica, per la prima volta, e poi vedere metropoliti,
cardinali, vescovi e fedeli ortodossi, cattolici, gremire la cattedrale ortodossa,
sono visioni di pace indimenticabili. E non c’è dubbio che è in questo modo che si
può seminare in maniera robusta una visione di convivenza per il futuro. Ecco perché
forse il tesoro più prezioso di tutto questo incontro è proprio questa immagine di
cattolici e ortodossi che si abbracciano e che scelgono di continuare a vivere assieme
qui, in raccordo anche con i musulmani e gli ebrei, e ridare a Sarajevo quella prospettiva
che nei secoli passati ha sempre avuto, anche portando frutti nuovi per tutta la regione
balcanica.
D. – Le divisioni che oggi si vivono in questa terra non sembrano
tanto tra le persone, ma essenzialmente a livello politico. Ed è questo che caratterizza
molti dei Paesi dilaniati dai conflitti. E molti di questi Paesi sono stati qui i
testimoni. La politica: è su questo che occorre lavorare...
R. – Sì, io credo
che ci sia bisogno che la politica, o meglio i politici abbiano visioni più ampie
e più profonde nello stesso tempo. La superficialità in questo caso è drammatica e
anche una politica ristretta alla terra e ai confini è molto problematica. Quindi,
la politica deve essere consapevole della necessità di suonare più tasti per toccare
le corde di questi popoli. Un tasto certamente è quello di iscrivere quest’area nel
più grande orizzonte europeo. Senza l’Europa, io credo che qui sia stato solo messo
un coperchio ad una situazione che può rischiare di esplodere nuovamente. L’Europa
può, nel campo della politica, smorzare le tensioni. Ma c’è un ulteriore passo da
compiere, a mio parere: la convivenza tra i popoli non può essere stretta solo all’interno
dei confini stabiliti.