2012-09-11 11:05:49

Giustizia Internazionale


A L’Aia, la Corte Penale Internazionale ha inflitto 14 anni di prigione al « signore della guerra» Thomas Lubanga, originario della Repubblica Democratica del Congo. In Sierra Leone, il Tribunale dell’ONU che ha giudicato l’ex-Presidente della Liberia Charles Taylor, lo ha condannato a 50 anni di carcere. Nell’uno come nell’altro caso, parte dell’opinione pubblica africana si è dimostrata insoddisfatta. Per il condannato de L’Aia, le voci critiche denunciano una certa moderazione nella pena, se rapportata ai crimini di efferata gravità commessi. Per Charles Taylor, alcuni non condividono l’opportunità datagli di ricorrere in appello. Nell’uno come nell’altro caso, l’Africa fà fatica a vedere riconosciuto quel che realmente la popolazione desidera riguardo alle questioni di giustizia.

Se aggiungiamo il malessere di coloro che ritengono che la giustizia non sarà mai veramente «internazionale», fino a quando non si occuperà di tutti i crimini, e non solamente di quelli africani, la confusione è totale. È un dato che il mondo evolve secondo una logica frammentaria e talvolta incoerente, al giorno d’oggi. Gli attori, e dunque i responsabili dei misfatti, possono anche essere noti, ma i mandanti non sempre emergono e gli interessi, con i meccanismi alla base dei reati, non sono facilmente individuabili. Inoltre, la giustizia è un processo complesso: non si ferma all’enunciazione delle pene. Il perseguimento di una piena giustizia include il rispetto di un certo rigore anche in fase di giudizio dei crimini, ed equilibrio nella scelta delle sanzioni previste.
Papa Benedetto XVI ha affrontato la questione in termini di «coscienza» per ciascuno di noi. La «globalizzazione» in corso implica necessariamente anche una «condivisione» delle responsabilità, senza per questo attenuarle. Tale situazione impone ai governanti il compito di guidarci nel rispetto del Diritto, agendo in modo da non dare luogo ad ingiustizie. «Anche nell'ambito delle cause immateriali o culturali dello sviluppo e del sottosviluppo possiamo trovare la medesima articolazione di responsabilità» ha scritto Papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate (N°22).

In occasione dei due Sinodi continentali, nel 1994 e nel 2009, i vescovi africani hanno posto i temi della giustizia, della pace e della riconciliazione al centro delle loro preoccupazioni. E nel documento post-sinodale « Africae munus » Benedetto XVI ricorda che il processo di pace e di riconciliazione impegna i colpevoli, ma anche le stesse vittime e i dirigenti.
«Per diventare effettiva, questa riconciliazione dovrà essere accompagnata da un atto coraggioso e onesto: la ricerca dei responsabili di quei conflitti, di coloro che hanno finanziato i crimini e che si dedicano ad ogni sorta di traffici, e l’accertamento della loro responsabilità. Le vittime hanno diritto alla verità e alla giustizia. È importante attualmente e per il futuro purificare la memoria, al fine di costruire una società migliore, dove simili tragedie non si ripetano più» (Africae Munus, N° 21).

Il richiamo della Chiesa indica dunque la base di partenza e ricorda la direzione da seguire, offre la bussola: la giustizia degli uomini, quando appare in affanno, può trarre forza ed ispirazione nella giustizia di Dio, che offre «l’orizzonte verso il quale deve tendere per realizzarsi pienamente» (Africae Munus, N° 25).
Ed essendo un orizzonte aperto da Dio, che è Amore, una giustizia «giusta» porterà di sicuro verso terreni non seminati di frustrazione, di sdegno e di odio. Che i dirigenti lo comprendano, che i popoli – specialmente i battezzati – lo vivano nella vita di ogni giorno.

A cura di Albert Mianzoukouta (programma francese per l’Africa)







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