Somalia verso l'elezione di un nuovo capo dello Stato
In Somalia è in corso tra imponenti misure di sicurezza la riunione del nuovo Parlamento
che dovrà votare per l’elezione del presidente della Repubblica, la prima dopo 20
anni in cui i periodi di crisi si sono alternati alla presenza di autorità transitorie.
I candidati alla massima carica sono 25, tra cui il capo dello Stato e il primo ministro
ad interim. Davide Maggiore ha chiesto a Matteo Guglielmo, analista
della rivista di geopolitica ‘Limes’, un giudizio su questa nuova tappa del processo
di transizione del Paese:
R. - Parlerei
di momento di relativa stabilità, nel senso che adesso in molti guardano alle elezioni,
ma è semplicemente una nuova nomina di istituzioni, che comunque non hanno -per ora-
una comprovata effettività o legittimità sul territorio. Più che altro la novità sarà
in quello che rappresenteranno questo governo e questo presidente; non più un governo
transitorio, ma un governo -comunque- riconosciuto a tutti gli effetti, e quindi capace
di comportarsi come tale.
D. - Una delle grandi sfide, per le prossime autorità
somale, sarà quella di riuscire a unire un Paese fortemente diviso tra fazioni e anche
tra clan. C’è la possibilità che il nuovo presidente riesca a fare questo?
R.
- Dipenderà molto dalla sua capacità di agganciarsi al territorio, di uscire da quelle
che sono le porte del parlamento e delle istituzioni arroccate a Mogadiscio, e cercare
di allacciare delle relazioni con quelli che sono i gruppi, che in questo momento,
tengono le varie regioni somale. Non si tratta di un processo nel breve termine, ma
richiederà comunque, ulteriori mesi di assestamento. Tuttavia bisognerà anche valutare
quali sono le disponibilità di altri Paesi regionali che, in questo momento, hanno
delle forze armate in Somalia. Più queste forze armate avranno la disponibilità a
rimanere sul territorio e quindi a garantire una sorta di protezione al governo, più
le possibilità di riuscita di questa travagliata transizione saranno alte.
D.
- Molti analisti temono che la situazione possa rimanere in realtà quella corrente.
Questo rischio, è veramente concreto?
R. - La possibilità è molto alta. Questo
rischio è molto concreto perché -di fatto- il processo della Road Map, cioè quel processo
che ha garantito il temine della transizione -che dovrebbe concludersi con la nomina
del nuovo presidente e del nuovo primo ministro- è stato guidato da quegli stessi
attori, che per anni, hanno partecipato alla transizione. Quindi, è molto probabile
che le nuove istituzioni siano anche gli stessi personaggi, gli stessi leader, che
hanno guidato la Road Map.
D. - D’altra parte abbiamo accennato alla questione
fondamentale del controllo del territorio. Nelle ultime settimane, sono arrivate notizie
di nuove offensive contro gli shabab. Quale sembra essere, in questo momento,
lo scenario militare in Somalia?
R. - Lo scenario militare è molto legato -ripeto-
alla volontà politica dei Paesi della regione che hanno una missione militare in Somalia,
di mantenere questa missione nel Paese. Il problema è che nel lungo periodo questo
missioni -mi riferisco soprattutto alla missione keniana, ma anche a quella ugandese-
che comunque sono nell’ambito dell’Amisom (missione dell’Unione Africana in Somalia),
possono avere delle ricadute politiche interne abbastanza negative, perché comunque
oggi, stare in Somalia per un contingente vuol dire anche perdere molti uomini.
D.
- Quale può essere l’impatto della questione somala sugli equilibri dell’area?
R.
- Credo che in questo momento la Somalia sia -in qualche modo- il fulcro di numerose
aspettative ed interessi regionali. Tuttavia, non credo possa esserci in futuro un
peggioramento eccessivo della situazione.