Ancora violenze in Siria. Mons. Tomasi: cambiamenti politici necessari, ma senza spargimento
di sangue
Ennesimo fine settimana di violenze in Siria, l’opposizione parla di “decine di morti
e feriti” provocati dai nuovi bombardamenti in diverse città del Paese. In questo
scenario l'inviato speciale dell'Onu per la crisi siriana Lakhdar Brahimi è al Cairo,
dove avrà colloqui con la Lega Araba. Brahimi è giunto da New York via Parigi per
quella che è la sua prima visita nella regione da quando è stato nominato successore
di Kofi Annan. Il servizio è di Marina Calculli: Russia e Stati
Uniti rincalzano il testa a testa sulla questione siriana, all’indomani della prima
visita ufficiale al Cairo di Lakhdar Brahimi nel ruolo di delegato di Lega Araba e
ONU sulla Siria. Mosca preme perché si adotti in Consiglio di Sicurezza una risoluzione,
già proposta a Ginevra a fine giugno, che preveda un piano di transizione senza imporre
la fuoriuscita di Assad dalla scena politica. Per Washington è insufficiente, dato
che il presidente siriano – sostiene Hillary Clinton – ha già dato prova di non saper
rispettare gli accordi. Da Bruxelles intanto l’Unione Europea discute sull’opportunità
di rinforzare ancora le sanzioni contro il regime. Sul terreno continuano i combattimenti
tra esercito e ribelli. Un’autobomba esplosa ad Aleppo ha provocato la morte di 17
persone, ferendone altre 40. A Damasco invece le forze militari fedeli al regime hanno
bombardato per tutto il giorno i quartieri sunniti. Un altro attentato infine ha colpito
un autobus sulla strada tra Homs e Masayaf, nel centro del paese. Intanto secondo
l’Osservatorio Siriano per i diritti umani da marzo 2011 in Siria sono morte 27.000
persone.
E il conflitto in Siria con le sue emergenze umanitarie sarà al
centro della 21.ma Sessione del Consiglio dei diritti umani che inizia domani a Ginevra,
in Svizzera. Partecipa anche l’Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio
Onu della città elvetica, mons. Silvano Maria Tomasi. Sergio Centofanti lo ha intervistato:
R. - Si vedono
solo macerie in tante zone del Paese. Primo punto, che si è obbligati a notare, è
l’enorme quantità di sfollati. Si parla di un milione di sfollati, tra interni ed
esterni: 230 mila tra Turchia, Giordania, soprattutto, Libano e Paesi vicini alla
Siria. Poi, il problema per la comunità internazionale è di trovare le risorse per
un aiuto umanitario a queste persone. L’ammontare degli aiuti – si parla di milioni
di dollari - richiesto per rispondere in maniera minima a queste esigenze continua
a salire e con la crisi economica si vede la fatica da parte della comunità internazionale
di mostrare la sua solidarietà. Il problema di fondo, però, è di far cessare la violenza,
perché la violenza non porta a nessun risultato positivo. Anche i cambiamenti sociali,
che sono necessari, i cambiamenti politici, dovranno in qualche modo essere negoziati
con l’aiuto e il sostegno della comunità internazionale, dove per ora ancora manca
una convergenza di vedute e di sforzi. D. – Cosa può fare la comunità internazionale?
R.
- Quello che rimane da fare è aumentare la buona volontà di tutti, perché la violenza
cessi e perché le forze esterne alla popolazione della Siria non siano un elemento
di destabilizzazione, ma piuttosto diano l’occasione a quanti le appoggiano di sedersi
attorno ad un tavolo, per negoziare una via d’uscita ed evitare tutte queste vittime,
spesso bambini. La tensione che persiste in Siria avvelena poi tutto il clima di relazioni
in Medio Oriente e questo incoraggia espressioni d’intolleranza che portano a conseguenze
veramente disastrose. Abbiamo visto che è stata bruciata la porta del Monastero trappista
di Latrun, in Israele, con slogan contro Cristo e contro i cristiani. E’ un caso tra
altri, che però mostra come la percezione di queste violenze, di questo clima d’intolleranza,
faciliti – primo - la percezione che tutto quello che riguarda l’Occidente s’identifichi
con i cristiani e soprattutto con la Chiesa cattolica, cosa assolutamente non vera
e che non corrisponde alla realtà, e – secondo - che aumentare la pressione o, addirittura,
la persecuzione contro i cristiani, sia una risposta quasi normale in queste circostanze.
Alla fine, dunque, le vittime sono le minoranze religiose: i cristiani, ma anche altri.