Sudafrica: firmato un accordo per la miniera di platino, ma continua la protesta
In Sudafrica l’opinione pubblica discute ancora del massacro alla miniera di platino
di Marikana, dove il 16 agosto scorso hanno perso la vita 34 lavoratori durante scontri
con la polizia: nuove testimonianze apparse sulla stampa hanno lanciato accuse verso
alcuni agenti. Intanto, la produzione nella miniera potrebbe riprendere già dai prossimi
giorni, dopo che è stato firmato un primo accordo tra sindacati e proprietà. Il sindacato
di minoranza che aveva iniziato lo sciopero ha però rifiutato di sottoscrivere il
documento. Davide Maggiore ha chiesto un’analisi della situazione a Enrico
Casale, esperto di Africa della rivista dei gesuiti “Popoli”:
R. – A mio
parere la questione è destinata a durare, anche perché non riguarda unicamente le
rivendicazioni dei minatori: alle rivendicazioni dei minatori si sono sovrapposte
delle questioni di carattere politico, sindacale ed economico internazionale.
D.
– Quindi ci saranno delle conseguenze di lunga durata?
R. – Non credo che si
esaurirà molto presto, perché nella rivendicazione dei minatori si è manifestata una
spaccatura del sindacato tra il vecchio sindacato, il Num, e il nuovo, che è l’Amcu,
che non a caso non ha firmato l’accordo: ha sempre tenuto posizioni molto radicali
in tutta la vertenza per riuscire a strappare iscritti al Num e di conseguenza tenderà
a mantenere una posizione ancora molto dura. Bisognerà vedere ore se riuscirà a strappare
un nuovo accordo oppure se salirà la tensione, nella miniera e fuori dalla miniera.
D. – Abbiamo parlato di questa spaccatura tra i sindacati e abbiamo detto
che si sono innestate delle ragioni più profonde su questa spaccatura: possiamo spiegare
quali sono?
R. – Dal punto di vista politico, la vertenza della miniera ha
assunto un rilievo enorme perché Julius Malema - l’ex enfant prodige dell’African
National Congress - coinvolto poi in un caso di corruzione e quindi espulso dall’Anc
- ha cavalcato la protesta dei minatori dell’Amcu, spaventando i vertici dell’Anc
che sono legati alle forze sindacali tradizionali. Quindi si è innestata anche una
lotta politica su questa che è una rivendicazione – almeno inizialmente – meramente
sindacale.
D. – Questo, però, non rischia di nuocere alla rivendicazione iniziale
dei minatori, che richiede semplicemente un innalzamento del salario minimo?
R.
– Certamente rischia di incidere sulla rivendicazione salariale dei minatori e di
fatto di squalificare la lotta degli stessi minatori, che sono scesi in campo per
ragioni assolutamente condivisibili: lavorano in condizioni difficilissime; in gallerie
dove il caldo è torrido; le misure di sicurezza sono minime, perché la multinazionale
che gestisce queste miniere non ha fatto grandi investimenti sulla sicurezza. Anche
fuori dalla miniera i minatori vivono in condizioni pessime: vivono in baracche, in
cui la diffusione dell’Aids è ampissima.
D. – Potrebbero esserci delle conseguenze,
anche immediate, sull’African National Congress, che è il partito al potere, e sul
presidente Zuma?
R. – Più che il partito, il governo - che è sostenuto all’African
National Congress - ha utilizzato dei vecchi strumenti legislativi dei tempi dell’Apartheid
e la polizia non si è fatta certamente scrupolo nello sparare ai minatori, sebbene
loro dicano per legittima difesa. Quali saranno le conseguenze, bisognerà vederlo.
Certamente Julius Malema sta cavalcando la protesta per riuscire a erodere quella
parte più intransigente, che è la base nelle bidonville delle miniere dell’Anc, per
riuscire a guadagnare consensi per sé e quindi rilanciarsi in politica. Questo sì
potrebbe essere un pericolo per l’African National Congress!