Paralimpiadi: Zanardi e non solo nel successo dell'Italia
Giornata importante, ieri, per l'Italia alle Paralimpiadi di Londra. Medaglia d’oro
per Alex Zanardi nella handbike; oro e record mondiale per Assunta Legnante nel lancio
del peso e per la velocista Martina Caironi, nei 100 metri. E si avvicina il momento
dello schermitore Andrea Macrì che sarà in pedana il giorno prima della chiusura
dei Giochi. Torinese di 19 anni, scampò nel 2008 al crollo del soffitto della sua
scuola, il liceo di Rivoli. In quella tragedia perse la vita il suo compagno Vito
Scafidi e a lui – ha dichiarato – dedicherà un’eventuale medaglia. Benedetta Capelli
lo ha intervistato:
R. – Partecipare
alla cerimonia è stata una delle soddisfazioni più grandi della mia vita. È stata
una cosa bellissima, però penso che tutto quello che deve venire sarà ancora più bello.
D.
– C’è un po’ l’incoscienza del “debuttante” in te?
R. – Non lo so ancora, dopo
la gara lo saprò dire.
D. – Qualche anno fa, forse, un’esperienza del genere
nemmeno la sognavi. Amavi in passato lo sport o lo hai scoperto dopo l’incidente?
R.
– L’ho scoperto dopo l’incidente, l’ho scoperto in ospedale quando ero ricoverato
ed ho fatto una bella scoperta, perché comunque in pochi anni arrivare fin qui vuol
dire che c’era già qualcosa dentro me che aspettava solo di venir fuori.
D.
– Non sei stato subito uno schermitore, hai provato anche altri sport, vero?
R.
– Il primo che ho provato è stata proprio la scherma, poi ho provato anche tantissimi
altri sport, tra cui l’hockey - che d’inverno ancora pratico – però la scherma è stato
il mio primo amore.
D. – Se dovesse arrivare una medaglia, a chi la dedicherai?
R.
– Sicuramente a chi non c’è più.
D. – Quindi al tuo amico Vito…
R. –
Esatto…
D. – Quel 22 novembre 2008 ha cambiato profondamente la tua vita. Oggi
a distanza di qualche anno se ripensi a quel momento, qual è il primo pensiero?
R
. – Sono tanti, sempre i soliti, non lo saprei dire. È collegato a tutto quello che
faccio adesso, se ripenso ad allora ricollego tutto e penso a dove sono arrivato,
nonostante quello che è successo. Penso dove posso ancora arrivare e a quante cose
ancora posso fare e ho la fortuna di poter fare.
D. – Hai scoperto lo sport:
c’è un’altra parte di te che hai scoperto dopo quel momento?
R. – No, nessuna
parte in particolare. Sono tante le cose nuove: il piacere di viaggiare, il piacere
di stare insieme alle persone - che è una cosa “normale” quando si viaggia tanto e
sei costantemente in mezzo a tante persone di nazioni diverse – queste sono le novità
più grandi, io sono sempre il solito Andrea.
D. – Sentendo tanti atleti paralimpici,
un cosa emerge molto forte: parlano di questo “prima” e di questo “dopo” l’evento
traumatico che hanno subito; una nuova vita. Anche per te è così?
R. – Penso
che la vita sia formata da quelle persone importanti. Finché hai a fianco la famiglia,
gli amici e le persone care, la vita è sempre quella. Cambia ma non è che ce n’è una
nuova, si modifica ma penso che sia sempre la stessa.
D. – C’è qualcuno a cui
vuoi dire grazie, perché sei arrivato a questo traguardo – Londra 2012?
R.
– Sicuramente la mia famiglia. Mia madre, mio padre e mio fratello, perché mi sono
stati tantissimo vicino e senza loro non sarei mai e poi mai riuscito ad arrivare
fin qui e ad affrontare tutti i sacrifici che fin’ora ho affrontato.