Sri Lanka: i profughi tamil in India preferiscono non rientrare in patria
A tre anni di distanza dalla fine della guerra civile che ha sconvolto lo Sri Lanka
dal 1983 al 2009, la maggior parte dei profughi rifugiatisi in India è riluttante
a rientrare in patria per difficoltà economiche e per il timore di subire violazioni
dei diritti umani. Secondo le stime del governo indiano, nello Stato meridionale del
Tamil Nadu ci sono oltre 100 mila cingalesi di etnia Tamil, compresi 68 mila in 112
campi gestiti dal governo e 32 mila fuori dai campi. Altre fonti riferiscono di continue
presunte violazioni dei diritti umani nel nord e dell’incapacità del governo di far
fronte al problema delle migliaia di persone che ancora mancano all’appello dal periodo
successivo al conflitto armato, che ha lasciato decine di migliaia di morti. Il Working
Group on Enforced or Involuntary Disappearances dell’Ufficio delle Nazioni Unite per
l’Alto Commissariato per i Diritti Umani - riferisce l'agenzia Fides - ha registrato
nel Paese oltre 5 mila scomparse legate alla guerra, senza considerare quanti sono
spariti nell’ultimo periodo bellico, tra il 2008 e il 2009. Nonostante gli aiuti offerti
dall’Unhcr, sono rientrati in patria solo poco più di 5 mila cingalesi. Per alcuni
di loro mantenere lo status di rifugiati sembra essere più vantaggioso. Alcune zone
settentrionali Tamil, come Jaffna e Trincomalee, sono più stabili, mentre altre aree
devastate dalla guerra sono prive delle infrastrutture di base. Si calcola che oltre
la metà dei profughi nei campi indiani sia nata in India e quindi conosca ben poco
dello Sri Lanka. L’ondata più grande di profughi si è verificata tra il 1983 e il
1987. Secondo gli operatori umanitari, le condizioni di vita nei campi variano da
precarie ad adeguate. Alcuni vivono in capanne di paglia, altri in piccole case fatte
di blocchi di cemento, inoltre nei campi più lontani ci sono problemi idrici e igienico-sanitari.
(R.P.)