“E’ chiaro che
di fronte alla morte di un personaggio come il card. Martini quello della strumentalizzazione
è uno dei rischi principali. Ma qui c’è anche qualcosa di più sottile e ideologico.
Vedo il tentativo da parte di alcuni ambienti di accaparrarsi, non tanto la figura
di Martini stesso, quanto il pretesto per continuare una polemica laicista. Da questo
punto di vista anche questo dibattito è ‘arretrato di 200 anni’. Martini ha invece
davvero piantato la croce nel cuore della modernità. E’ questo darà frutto”.Il
direttore de ‘Il Regno’, rivista del Centro editoriale dehoniano, Gianfranco Brunelli,
commmenta così, ai nostri microfoni, il dibattito scaturito sulla stampa italiana
dopo la morte del card. Carlo Maria Martini. “Martini – spiega Brunelli anticipando
per la Radio Vaticana i contenuti del suo prossimo editoriale – è stato un uomo che,
negli anni in cui ha svolto il suo ministero episcopale, era al centro della Chiesa
e non ai margini. Un uomo di riferimento per tanti e un modello di nuova evangelizzazione
da tener presente mentre ci avviamo verso un Sinodo, voluto dal Papa, dedicato proprio
a questo tema. Dobbiamo ricordarci dei suoi insegnamenti, per non rischiare di avviare
modelli di ‘vecchia’ evangelizzazione. Considero una vera e propria ‘grazia’ averlo
conosciuto e aver avviato con lui un rapporto di amicizia”.
“Intitolerò
il mio editoriale Carlo Maria Martini, un Padre della Chiesa”
spiega Brunelli. “Sono infatti convinto che Martini rappresenti un padre della Chiesa,
come Girolamo, Ambrogio e Agostino. E’ stato una di quelle figure di riferimento che
nella loro testimonianza, nel loro magistero, segnano una fase profonda della vita
della Chiesa. Un segno che resta e va oltre la superficie degli avvenimenti e delle
polemiche che hanno preceduto e seguito la sua morte. Il suo pensiero e la sua esegesi
orante, la sua ‘Lectio divina’ continua, fatta nei confronti di tutti, all’interno
della Chiesa, e anche verso i cristiani di altre confessioni e i credenti di altre
religioni e verso gli atei, rappresenta un fenomeno unico e abbastanza raro nel nostro
tempo”.
“Martini – continua Brunelli - è stato per me prima di tutto ‘uditore
della Parola’. L’ascolto della Parola, nel senso anche delle memorie ebraiche
sottese a questa espressione, è stato sempre per lui un punto di riferimento, assieme
alla ‘contemplazione’ della Parola, che trovava la radice negli ‘Esercizi spirituali’
di Sant’Ignazio, così presenti nei suoi commenti al Vangelo”. “Martini era convinto,
teologicamente e filosofocamente, che la rivelazione della Parola risuoni originariamente
nel cuore dell’uomo. Non c’è solo un aspetto esteriore ma c’è un aspetto intimo. La
Parola di Dio si rivela nell’atteggiamento di ascolto dell’uomo ma ha anche un fondamento
ontologico nell’uomo.Una certezza che si fonda su basi solide, come il pensiero di
Tommaso e di p. Bernard Lonergam. Ed è questo è l’atteggiamento dal quale Martini
è partito per la sua opera di annuncio, ma anche per giustificare e motivare l’incontro
con i non-credenti. Non a caso il Papa nel suo messaggio, in occasione della morte
del card. Martini, ha individuato proprio queste categorie per definire Martini ‘uomo
di Dio’. Uomo che non solo conosceva la Parola ma ha ‘amato’ la Parola”.
“Da
questo aspetto di ‘uditore della Parola’ si dipanano gli altri” aggiunge il direttore
de ‘Il Regno’. “Martini è stato autentico ‘vescovo del Concilio’. Negli anni
del Concilio, infatti, era già docente al Pontificio Istituto Biblico, allora retto
dal card. Bea, uno dei grandi protagonisti della stagione conciliare, soprattutto
per quanto riguarda la ‘Nostra Aetate’ e la ‘Dignitatis Humanae’. A Bea si deve anche
molto della correzione di rotta della Chiesa nei confronti degli ebrei. E Martini
è il suo collaboratore principale, quindi il suo apprendimento del Concilio è in qualche
modo ‘sorgivo’” (Intervista a cura di Fabio Colagrande)