Il Papa all'udienza generale: Gesù tiene nelle sue mani la Chiesa di tutti i tempi
Il Papa oggi ha ripreso le udienze generali in Vaticano, nell'Aula Paolo VI, continuando
le sue catechesi sulla «scuola della preghiera». Stamani ha parlato della preghiera
nel Libro dell’Apocalisse, l’ultimo del Nuovo Testamento. “E’ un libro difficile –
ha subito osservato - ma che contiene una grande ricchezza” e “ci mette in contatto
con la preghiera viva e palpitante dell’assemblea cristiana, radunata «nel giorno
del Signore» (Ap 1,10): è questa infatti la traccia di fondo in cui si muove il testo”.
“Un
lettore - spiega - presenta all’assemblea un messaggio affidato dal Signore all’Evangelista
Giovanni. Il lettore e l’assemblea costituiscono, per così dire, i due protagonisti
dello sviluppo del libro; ad essi, fin dall’inizio, viene indirizzato un augurio festoso:
«Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia» (1,3).
Dal dialogo costante tra loro, scaturisce una sinfonia di preghiera, che si sviluppa
con grande varietà di forme fino alla conclusione. Ascoltando il lettore che presenta
il messaggio, ascoltando e osservando l’assemblea che reagisce, la loro preghiera
tende a diventare nostra”.
Benedetto XVI ricorda che “la prima parte dell’Apocalisse
(1,4-3,22) presenta, nell’atteggiamento dell’assemblea che prega, tre fasi successive.
La prima (1,4-8) è costituita da un dialogo che – unico caso nel Nuovo Testamento
– si svolge tra l’assemblea appena radunata e il lettore, il quale le rivolge un augurio
benedicente: «Grazia a voi e pace» (1,4). Il lettore prosegue sottolineando la provenienza
di questo augurio: esso deriva dalla Trinità: dal Padre, dallo Spirito Santo, da Gesù
Cristo, coinvolti insieme nel portare avanti il progetto creativo e salvifico per
l’umanità. L’assemblea ascolta e, quando sente nominare Gesù Cristo, ha come un sussulto
di gioia e risponde con entusiasmo, elevando la seguente preghiera di lode: «A colui
che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di
noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli
dei secoli. Amen» (1,5b-6). L’assemblea, avvolta dall’amore di Cristo, si sente liberata
dai legami del peccato e si proclama «regno» di Gesù Cristo, che appartiene totalmente
a Lui. Riconosce la grande missione che con il Battesimo le è stata affidata di portare
nel mondo la presenza di Dio. E conclude questa sua celebrazione di lode guardando
di nuovo direttamente a Gesù e, con entusiasmo crescente, ne riconosce «la gloria
e la potenza» per salvare l’umanità. L’«amen» finale conclude l’inno di lode a Cristo.
Già questi primi quattro versetti contengono una grande ricchezza di indicazioni per
noi; ci dicono che la nostra preghiera deve essere anzitutto ascolto di Dio che ci
parla. Sommersi da tante parole, siamo poco abituati ad ascoltare, soprattutto a metterci
nella disposizione interiore ed esteriore del silenzio per essere attenti a ciò che
Dio vuole dirci. Tali versetti ci insegnano inoltre che la nostra preghiera, spesso
solo di richiesta, deve essere invece anzitutto di lode a Dio per il suo amore, per
il dono di Gesù Cristo, che ci ha portato forza, speranza e salvezza”.
“Un
nuovo intervento del lettore – prosegue il Papa - richiama poi all’assemblea, afferrata
dall’amore di Cristo, l’impegno a coglierne la presenza nella propria vita: «Ecco,
viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui
tutte le tribù della terra si batteranno il petto» (1,7a). Dopo essere salito al cielo
in una «nube», simbolo della sua trascendenza (cfr At 1,9), Gesù Cristo ritornerà
così come è salito al Cielo (cfr At 1,11b). Allora tutti i popoli lo riconosceranno
e, come esorta san Giovanni nel Quarto Vangelo, «volgeranno lo sguardo verso colui
che hanno trafitto» (19,37). Penseranno ai propri peccati, causa della sua crocifissione,
e, come coloro che avevano assistito direttamente ad essa sul Calvario, «si batteranno
il petto» (cfr Lc 23,48) chiedendogli perdono, per seguirlo nella vita e preparare
così la comunione piena con Lui, dopo il suo ritorno finale. L’assemblea riflette
su questo messaggio e dice: «Sì. Amen!» (Ap 1,7b). Esprime col suo «sì» l’accoglienza
piena di quanto le è comunicato e chiede che questo possa davvero diventare realtà.
E’ la preghiera dell’assemblea, che medita sull’amore di Dio manifestato in modo supremo
sulla Croce e chiede di vivere con coerenza da discepoli di Cristo. E c’è la risposta
di Dio: «Io sono l’Alfa e l'Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!»
(1,8). Dio, che si rivela come l’inizio e la conclusione della storia, accoglie e
prende a cuore la richiesta dell’assemblea. Egli è stato, è, e sarà presente e attivo
con il suo amore nelle vicende umane, nel presente, nel futuro, come nel passato,
fino a raggiungere il traguardo finale, questa è la promessa di Dio. E qui troviamo
un altro elemento importante: la preghiera costante risveglia in noi il senso della
presenza del Signore nella nostra vita e nella storia, e la sua è una presenza che
ci sostiene, ci guida e ci dona una grande speranza anche in mezzo al buio di certe
vicende umane; inoltre, ogni preghiera, anche quella nella solitudine più radicale,
non è mai un isolarsi e non è mai sterile, ma è la linfa vitale per alimentare un’esistenza
cristiana sempre più impegnata e coerente”.
Rileva quindi che “la seconda
fase della preghiera dell’assemblea (1,9-22) approfondisce ulteriormente il rapporto
con Gesù Cristo: il Signore si fa vedere, parla, agisce, e la comunità, sempre più
vicina a Lui, ascolta, reagisce ed accoglie. Nel messaggio presentato dal lettore,
san Giovanni racconta una sua esperienza personale di incontro con Cristo: si trova
nell’isola di Patmos a causa della «parola di Dio e della testimonianza di Gesù» (1,9)
ed è il «giorno del Signore» (1,10a), la domenica, nella quale si celebra la Risurrezione.
E san Giovanni viene «preso dallo Spirito» (1,10a). Lo Spirito Santo lo pervade e
lo rinnova, dilatando la sua capacità di accogliere Gesù, il Quale lo invita a scrivere.
La preghiera dell’assemblea che ascolta, assume gradualmente un atteggiamento contemplativo
ritmato dai verbi «vede», «guarda»: contempla, cioè, quanto il lettore le propone,
interiorizzandolo e facendolo suo”.
“Giovanni – aggiunge il Papa - ode «una
voce potente, come di tromba» (1,10b): la voce gli impone di inviare un messaggio
«alle sette Chiese» (1,11) che si trovano nell’Asia Minore e, attraverso di esse,
a tutte le Chiese di tutti i tempi, unitamente ai loro Pastori. L’espressione «voce
… di tromba», presa dal libro dell’Esodo (cfr 20,18), richiama la manifestazione
divina a Mosè sul monte Sinai e indica la voce di Dio, che parla dal suo Cielo, dalla
sua trascendenza. Qui è attribuita a Gesù Cristo Risorto, che dalla gloria del Padre,
con la voce di Dio parla all’assemblea in preghiera. Voltatosi «per vedere la voce»
(1,12), Giovanni scorge «sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile
a un Figlio d’uomo» (1,12-13), termine particolarmente familiare a Giovanni, che indica
Gesù stesso. I candelabri d’oro, con le loro candele accese, indicano la Chiesa di
ogni tempo in atteggiamento di preghiera nella Liturgia: Gesù Risorto, il «Figlio
dell’uomo», si trova in mezzo ad essa e, rivestito delle vesti del sommo sacerdote
dell’Antico Testamento, svolge la funzione sacerdotale di mediatore presso il Padre.
Nel messaggio simbolico di Giovanni, segue una manifestazione luminosa di Cristo Risorto,
con le caratteristiche proprie di Dio, che ricorrono nell’Antico Testamento. Si parla
dei «capelli… candidi, simili a lana candida come neve» (1,14), simbolo dell’eternità
di Dio (cfr Dn 7,9) e della Risurrezione. Un secondo simbolo è quello del fuoco, che,
nell’Antico Testamento, viene spesso riferito a Dio per indicare due proprietà. La
prima è l’intensità gelosa del suo amore, che anima la sua alleanza con l’uomo (cfr
Dt 4,24). Ed è questa stessa intensità bruciante dell’amore che si legge nello sguardo
di Gesù Risorto: «i suoi occhi erano come fiamma di fuoco» (Ap 1,14a). La seconda
è la capacità inarrestabile di vincere il male come un «fuoco divoratore» (Dt 9,3).
Così anche «i piedi» di Gesù, in cammino per affrontare e distruggere il male, hanno
l’incandescenza del «bronzo splendente» (Ap 1,15). La voce di Gesù Cristo poi, «simile
al fragore di grandi acque» (1,15c), ha il frastuono impressionante «della gloria
del Dio di Israele» che si muove verso Gerusalemme, di cui parla il profeta Ezechiele
(cfr 43,2). Seguono ancora tre elementi simbolici che mostrano quanto Gesù Risorto
stia facendo per la sua Chiesa: la tiene saldamente nella sua mano destra - un'immagine
molto importante: Gesù tiene la Chiesa nella sua mano - le parla con la forza penetrante
di una spada affilata, e le mostra lo splendore della sua divinità: «il suo volto
era come il sole quando splende in tutta la sua forza» (Ap 1,16). Giovanni è talmente
preso da questa stupenda esperienza del Risorto, che si sente venire meno e cade come
morto”.
“Dopo questa esperienza di rivelazione, l’Apostolo ha davanti il Signore
Gesù che parla con lui, lo rassicura, gli pone una mano sulla testa, gli dischiude
la sua identità di Crocifisso Risorto e gli affida l’incarico di trasmettere un suo
messaggio alle Chiese (cfr Ap 1,17-18): una cosa bella ... e così sarà anche per noi:
siamo amici di Gesù e la Rivelazione del Cristo risorto non sarà tremenda ma l'incontro
con l'Amico. Anche l’assemblea vive con Giovanni il momento particolare di luce davanti
al Signore, unito, però, all’esperienza dell’ incontro quotidiano con Gesù, avvertendo
la ricchezza del contatto con il Signore, che riempie ogni spazio dell’esistenza.
“Nella terza ed ultima fase della prima parte dell’Apocalisse (Ap 2-3) – sottolinea
- il lettore propone all’assemblea un messaggio settiforme in cui Gesù parla in prima
persona. Indirizzato a sette Chiese situate nell’Asia Minore intorno ad Efeso, il
discorso di Gesù parte dalla situazione particolare di ciascuna Chiesa, per poi estendersi
alle Chiese di ogni tempo. Gesù entra subito nel vivo della situazione di ciascuna
Chiesa, evidenziandone luci e ombre e rivolgendole un pressante invito: «Convertiti»
(2,5.16; 3,19c); «Tieni saldo quello che hai» (3,11); «compi le opere di prima» (2,5);
«Sii dunque zelante e convertiti» (3,19b)... Questa parola di Gesù, se ascoltata con
fede, inizia subito ad essere efficace: la Chiesa in preghiera, accogliendo la parola
del Signore viene trasformata. Tutte le Chiese devono mettersi in attento ascolto
del Signore, aprendosi allo Spirito come Gesù richiede con insistenza ripetendo questo
comando sette volte: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alla Chiese»
(2,7.11.17.29; 3,6.13.22). L’assemblea ascolta il messaggio ricevendo uno stimolo
per il pentimento, la conversione, la perseveranza, la crescita nell’amore, l’orientamento
per il cammino”.
Questa la conclusione del Papa”: “L’Apocalisse ci presenta
una comunità riunita in preghiera, perché è proprio nella preghiera che avvertiamo
in modo sempre crescente la presenza di Gesù con noi e in noi. Quanto più e meglio
preghiamo con costanza, con intensità, tanto più ci assimiliamo a Lui, ed Egli entra
veramente nella nostra vita e la guida, donandole gioia e pace. E quanto più noi conosciamo,
amiamo e seguiamo Gesù, tanto più sentiamo il bisogno di fermarci in preghiera con
Lui, ricevendo serenità, speranza e forza per la nostra vita”.