Il festival del Cinema di Venezia. Fantasia e introspezione nei film proiettati questi
giorni
Alla Mostra del Cinema di Venezia si sta avendo prova in questi giorni di quanto la
religione, i fanatismi, le tradizioni, le strutture comunitarie, le fedi e le crisi
dell’anima, stiano avendo un ruolo di primo piano in alcuni film inseriti in concorso.
E’ il 1950 l’anno in cui Paul Thomas Anderson ambienta The Master. Discussioni molteplici
ne hanno accompagnato la preparazione e l’arrivo al Lido. Perché, senza dubbio, tocca
il nervo scoperto del diffuso fenomeno delle sette religiose. Lancaster Dodd, gigantesco
Philip Saymour Hoffman, è il Maestro-Padrone di una di queste, che si diffonde in
modo tentacolare e le cui teorie, sostenute da un apparato scientifico-filosofico
balordo, irretiscono e avvinghiano tragicamente un giovane marinaio interpretato da
Joaquim Phoenix. Finale né consolatorio né liberatorio. Finale dolciastro, accolto
da vistosi dissensi questa mattina, quello di To the Wonder del celebrato maestro
americano Terrence Malick: una coppia in crisi, un sacerdote alla ricerca di senso
e di una vocazione appannata, veri e propri soliloqui moraleggianti che fanno il verso,
nel loro non-sense, a quelli del film di Anderson. Ma là una forza incontenibile e
uno stile rigorosissimo gestiva altre debolezze, qui Malick sparge melassa filosofica
senza limiti e con ovvie banalità, che si tratti di crisi del cuore o dell’anima.
Infine, una crisi si apre anche in una famiglia cassidica ortodossa di Tel Aviv nell’opera
prima di Rama Burshtein Fill the Void. Da riempire c’è il vuoto lasciato dalla scomparsa
di una mamma, che deve però assecondare le disposizioni e tradizioni religiose di
una comunità forte e coesa. Un sentimento di amore, fedeltà e sacrificio orienterà
le scelte delle donne: giovani, madri e spose, per dare consolazione e futuro a una
comunità intera (Luca Pellegrini)