Pakistan: nuovo rinvio per la sentenza su Rimsha, si teme per la sicurezza
Il tribunale di Islamabad ha deciso ieri il rinvio a domani, 1° settembre del processo
a carico di Rimsha Masih, la giovane pakistana di religione cristiana in carcere con
l'accusa di aver bruciato alcune pagine del Corano. Il fronte islamico dell’accusa
contesta il risultato del rapporto della Commissione medica che ha dichiarato la ragazza,
peraltro ancora minorenne, affetta da problemi mentali e quindi non in grado di intendere
e di volere, mentre un parlamentare musulmano salafita, legato al fondamentalismo
islamico, ha dichiarato che Rimsha va rilasciata, in conformità con la sharìa. Il
caso ricorda da vicino quello di Asia Bibi, la donna cattolica condannata a morte
nel 2010 e rinnova il dibattito in merito alla legge sulla blasfemia in vigore in
Pakistan e sui suoi abusi, contro i quali si sta muovendo la Chiesa locale, come spiega
al microfono del collega del programma indiano della nostra emittente, Robin Gomes,
il direttore della Commissione nazionale Giustizia e Pace della Conferenza episcopale
del Pakistan, Peter Jacob:
R. – The organizations
belonging to the Catholic Church, they are working … Le organizzazioni che fanno
parte della Chiesa cattolica collaborano con i leader politici e le organizzazioni
politiche, ma anche con gli studiosi delle comunità musulmane, prima di tutto per
organizzare il supporto legale alla vittima, nel tentativo anche di risolvere la tensione
che è venuta a crearsi. Stiamo cercando di metterci in contatto con l’organizzazione
che sta lavorando per ottenere una soluzione a lungo termine per una revisione della
legge sulla blasfemia. C’è una grande parte dell’opinione pubblica che chiede cambiamenti,
modifiche, salvaguardie da parte della legge affinché finiscano gli abusi della legge
stessa.
D. – Cosa può dirci della situazione attuale della famiglia di Rimsha
Masih e dei suoi vicini?
R. – Her family had to shift, whereas 250 families
fled their houses … La sua famiglia ha dovuto spostarsi, mentre altre 250 famiglie
sono fuggite abbandonando le loro case, alle quali per alcuni giorni non sono tornate.
Ora circa il 30% delle persone sono rientrate, mentre altri non sono ancora tornati.