Siria. Il nunzio Zenari: pregare e usare l’arma della parola per fermare la guerra
Sale la preoccupazione per gli esiti imprevedibili della guerra in Siria. “Sembriamo
tutti impotenti di fronte a questo disastro umano, politico, democratico”, ha osservato
il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei. E se il presidente siriano Assad
dichiara che la situazione sta migliorando ma la crisi non è finita, difficile essere
rassicurati quando il Paese è in rivolta e la diplomazia appare impotente. Roberta
Gisotti ha intervistato a Damasco il nunzio apostolico, l'arcivescovoMario
Zenari, che ieri mattina, nella ricorrenza del martirio di Giovanni Battista,
profeta venerato dalle tre religioni monoteiste, si è recato nella Grande Moschea
degli Omayyadi - dove è conservata la reliquia della testa del Santo - invocando insieme
ai musulmani la pace per la Siria:
R. – Io direi
che dovremmo, in questa situazione così pesante, far leva anche su un’arma particolare.
Vediamo nelle immagini alla televisione queste armi che distruggono, che fanno cose
atroci e noi cristiani, direi tutti i credenti, abbiamo un’arma particolare: l’arma
della preghiera. Qualche giorno fa, un parroco mi diceva: “Io ho detto a tutti i parrocchiani:
alle nove e mezzo di sera, nelle nostre famiglie, spegniamo la televisione e preghiamo
il Santo Rosario per la pace, per la riconciliazione in Siria”. Quindi direi: non
dimentichiamo di far leva su quest’arma che è molto potente, più potente delle altre,
per ottenere la conversione dei cuori, il disarmo, perché cessi la violenza e tutte
queste atrocità che vediamo ogni giorno.
D. – E’ certo molto importante questo
suo richiamo da uomo di fede a tutti gli uomini, anche di diverse fedi. Rivolgendosi
alla comunità internazionale - che comunque è richiesta di cercare di trovare soluzioni
per proteggere la popolazione civile coinvolta in questo terribile conflitto - che
cosa si può dire?
R. – La comunità internazionale deve essere presente. Vediamo
dei massacri, delle cose che sono insopportabili. Credo che la comunità internazionale
abbia il dovere di far luce su queste ferite, che sono ferite inferte all’umanità,
non solo alla Siria. Quindi, trovare i responsabili di queste atrocità, con inchieste
fatte seriamente, indipendenti. E poi, direi serve il grande impegno della comunità
per far tacere le armi e liberare la parola. Credo che già dall’inizio, purtroppo,
si sia sbagliato: bisognava dare libertà alla parola - quest’arma che è molto efficace
- e combattersi con la parola, come hanno fatto in alcuni Paesi vicino a noi, come
ha fatto l’Egitto, come ha fatto la Tunisia. Forse, si sarebbe potuto usare quest’arma
della parola, del dibattito, del confronto - a volte magari anche una parola forte
- e non saremmo arrivati a questo punto. Credo quindi che, se fosse possibile, la
comunità internazionale dovrebbe spingere a liberare la parola e dialogare, anziché
premere il tasto di le armi micidiali di distruzione.