Myanmar: testimonianza di un sacerdote dopo le aperture democratiche della Giunta
Soltanto pochi giorni fa la Giunta militare birmana ha abolito la censura per i media
nel Paese. Un nuovo passo all’interno del processo di democratizzazione che è stato
avviato in Myanmar dopo le elezioni dell’aprile scorso. Al microfono di Federico
Piana, ascoltiamo l’opinione di padre Paul, sacerdote birmano di Rangoon,
in questi giorni al Meeting per l’Amicizia fra i Popoli dove i diritti fondamentali
sono stati al centro del confronto:
R. – Dopo il
cambio di governo, iniziamo a vedere alcuni segni di miglioramento e di apertura nel
Paese che in molti abbiamo desiderato. Speriamo solo che siano per il bene della popolazione.
D.
- Quindi lei pensa che sia un passo verso la vera democrazia?
R. – Spero di
sì. Veniamo da 62 anni di chiusura e isolamento. La Birmania è un Paese di complesso
per quanto riguarda etnie e religioni, perciò si vuole tempo, pazienza, buona volontà
e anche riconciliazione.
D. – Secondo lei, il ruolo dei cristiani in tutto
questo quale deve essere?
R. - Possiamo contribuire molto, specialmente nel
costruire pace e fiducia tra le etnie.
D. - Lei come vede il ruolo di San Suu
Kyi?
R. – E’ amata da tutto il Paese. Anche nell’esercito e tra i governativi
molti vedono in lei un vero leader che può portare cambiamento.
D. – Un cambiamento
che però è inesorabile secondo lei o c’è la possibilità di un ritorno al passato?
R.
– Noi tutti temiamo questo, non vogliamo ritornare indietro. Le pressioni della comunità
internazionale hanno funzionato nel cambiare la strada: se si torna indietro sarà
molto difficile per noi tutti.