Siria: oltre 200 mila civili in fuga, non si fermano le violenze in Libano
E’ sempre più emergenza umanitaria in Siria. L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati
ha parlato di oltre 200 mila persone fuggite nei Paesi limitrofi, un numero ben al
di sopra delle previsioni. Sono 27 i civili uccisi oggi in diverse parti del Paese
e si teme per la sorte di un giornalista americano, disperso da una settimana. Preoccupano
pure le violenze in Libano, da giorni oppositori e sostenitori del regime siriano
si stanno dando battaglia. Stamani a Tripoli, epicentro dei disordini, è stato ucciso
uno sceicco sunnita. Benedetta Capelli ha raccolto l’opinione del prof.Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università Cattolica di Milano:
R. – Il Libano
è un Paese che ha attraversato tutto il ventesimo secolo con una fatica di convivenza
tra le comunità; e Tripoli è una città un po’ simbolo perché lì c’è un forte contrasto
tra due anime dell’islam e cioè le comunità sunnite e le comunità sciite. Noi sappiamo
che il Libano è un Paese multiconfessionale: ci sono i cristiani, soprattutto maroniti,
poi ci sono altre comunità più eterodosse come i drusi, poi c’è la maggioranza musulmana
che è divisa, in modo crescente, tra sunniti e sciiti. In Libano, quello che si rischia
di avere è una tracimazione della guerra civile siriana su questo fragile Paese, con
una serie di scontri molto forti tra sciiti e sunniti, e all’interno dei sunniti anche
tra gruppi sunniti più moderati e gruppi più radicali.
D. – Ma c’è il rischio
che questa tensione si propaghi anche ad altre città libanesi?
R. – Ahimé,
sì. Il Libano è un’entità fragile che vive sempre sul filo. Uno sbilanciamento di
una parte rischia di provocare il crollo di tutto l’assetto politico, anche perché
le tensioni interne al Libano sono molto forti. Il Libano è stato controllato per
anni dalla Siria; ora i siriani si sono ritirati, ma sono sempre presenti le loro
forze di sicurezza. C’è il problema di Hezbollah, alleato di Damasco e di Teheran,
ci sono i Paesi arabi, soprattutto quelli arabi del Golfo, che stanno finanziando
ed armando i movimenti sunniti più radicali, i movimenti salafiti e con una politica
probabilmente un po’ miope. Poi c’è l’Occidente che, come al solito, non sa bene cosa
fare o che tende sempre a distinguere tra buoni e cattivi quando la realtà sul terreno
è molto più complicata … C’è davvero il rischio e qualcuno, forse, sta spingendo anche
perché il Libano "salti di nuovo in aria".
D. – Chi, secondo lei?
R.
– Mah, sono in molti … Allora, i Paesi arabi sunniti del Golfo – Qatar e Arabia Saudita
in testa – hanno ormai lanciato una guerra non dichiarata all’Iran e agli sciiti nel
mondo arabo. Dall’altra parte, sia Teheran sia Damasco, prima di crollare, cercheranno
di allargare la dimensione del conflitto, e in particolare Assad cercherà di rendere
il più sanguinoso possibile la caduta del proprio regime, creando altri fronti di
instabilità.
D. – Venendo alla Siria: ora c’è questa posizione della Francia
che chiede l’apertura di una parziale no-fly zone nel Paese…
R. – Io
credo che la comunità internazionale abbia "giocato" molto male in Siria: prima, facendo
finta di niente, poi dicendo: “Assad deve andarsene, deve crollare”. Facendo così
ha anche insistito per chiedere la no-fly zone e lo ha fatto in un modo che
ha ricordato quanto accaduto in Libia. In Libia, Francia e Gran Bretagna hanno voluto
a tutti i costi la no-fly zone e poi di fatto hanno dato il via ad una guerra
aerea contro Gheddafi. Quello che si può fare ora è smetterla di vedere in modo così
semplicistico la situazione e, premesso il fatto che Assad è indifendibile e se ne
deve andare perché ha creato un regime corrotto e crudele, la soluzione al dopo-Assad
non può passare solo nelle mani degli oppositori che in questo momento gli fanno la
guerra. Deve invece coinvolgere tutte le comunità siriane: compresi gli alawiti e
compresi i cristiani. Altrimenti, il rischio di frammentazione sarà molto forte.