Siria. Tank e rastrellamenti a Damasco: almeno 40 i morti. Sull'emergenza sanitaria
la testimonianza di MSF
Durissime operazioni dell’esercito si stanno compiendo in queste ore a Damasco dove
le forze lealiste hanno anche ucciso un giornalista siriano. Intanto sembra che il
vento della guerra civile siriana stia soffiando sempre più forte sul Libano. Il servizio
di Marina Calculli:
L’esercito di
Assad si mostra sempre meno scrupoloso di fronte al montare della resistenza antigovernativa.
Si continua a combattere ad Aleppo, ma Damasco torna ad essere centro nevralgico della
battaglia. Il ritrovamento di 42 corpi uccisi ieri nei pressi della capitale ha portato
a ricostruire una durissima operazione delle forze armate. Mentre oggi a Kfar Suse,
sempre nella capitale, con il sostegno di elicotteri e carri armati-scudo, i soldati
stanno compiendo un rastrellamento casa per casa alla ricerca di ribelli. “Son tornati
a Damasco” ha infatti annunciato la tv di Stato. E dopo la giornalista giapponese
morta ad Aleppo, oggi è toccato ad un altro giornalista, stavolta siriano. Musaal
al-Awdallah aveva lavorato per anni nel quotidiano governativo Tishrin ma da mesi
appoggiava la resistenza. Svanisce nel frattempo l’illusione di un dialogo tra le
parti prospettata ieri dal vicepremier Qadri Jamal in visita a Mosca. Ma l’opposizione
rifiuta ogni trattativa finchè Assad sarà al potere. E dopo le minacce di intervento
statunitense in caso di uso di armi chimiche, Parigi ammette di fornire materiale
di difesa e comunicazione ai ribelli. La guerra civile in Siria infiamma, intanto,
anche il Libano. A Tripoli scontri tra quartieri sunniti e alawiti hanno lasciato
sul terreno 10 morti e circa 100 feriti.
La Francia ha dunque annunciato di
aver inviato ai ribelli “mezzi non letali, strumenti di comunicazione e di difesa”
su richiesta del Consiglio Nazionale Siriano. Su quest’ultimo punto, Benedetta
Capelli ha sentito il prof. Luigi Bonanate, docente di Relazioni internazionali
all'Università di Torino:
R. - Gli inglesi
fanno trapelare l’idea che loro danno una mano, i francesi adesso fanno questa operazione
che non riesco a capire veramente. O meglio, non dovremmo riuscire a capire perché
devono muoversi in questo modo individualistico e sparso. Questa storia era già successa
con la Libia. Qui si sta parlando di una decina di migliaia di morti, una cosa spaventosa,
e noi stiamo al solito a giocare con queste cose. Aggiungerei un aspetto che fa accapponare
la pelle. Il presidente Obama ha detto: se quelli usano i gas, noi ci arrabbiamo.
Io credo che in certi momenti noi occidentali abbiamo una sorta di presunzione folle,
di insensato pregiudizio sul fatto che noi siamo più bravi, più intelligenti, più
furbi. Ma cosa sono i gas, le armi di quel tipo? Sono cose che servono per uccidere
esattamente come le pistole e i nostri fucili, è la stessa cosa. In guerra si è sempre
ucciso.
D. - Quello che sembra abbastanza evidente è che in Siria, visto anche
come è andata a finire la missione Onu, la diplomazia internazionale stia miseramente
fallendo. Quale può essere una via d’uscita?
R. - Il problema è questo. La
politica internazionale non vive a giorni pari e dispari, cioè ogni tanto c’è un problema
e allora lo si affronta. Sono due anni che viviamo in questa sindrome della "primavera
araba": possibile che nessuno avesse pensato che la Tunisia era vicina all’Egitto,
l’Egitto era vicino alla Libia, la Libia è vicina alla Siria, la Siria è vicina al
Libano e tutti quanti sono vicini all’Iraq? Oggi, alla domanda cosa possa fare la
diplomazia, rispondo che la diplomazia è fallita o forse può fare qualcosa, non so.
Nessuno sa dare risposte. Dovevamo cominciare a preparaci per tempo, invece di blandire
Assad come abbiamo fatto per 5-6-7 anni consecutivamente, pensando che era l’unico
che poteva tenere a bada l’Iran - che poi è un’altra sciocchezza perché con l’Iran
si tratta per conto proprio, non per interposta persona. Adesso è difficilissimo risolvere
il problema, andava gestito nel tempo.
D. - Si parla con insistenza delle dimissioni
del presidente per favorire poi un processo di dialogo nazionale. E’ veramente questa
l’unica soluzione?
R. - Il punto è che Assad non darà mai le dimissioni. Se
avesse avuto un atteggiamento diplomatico, addirittura democratico, di fronte al fatto
che una grande parte della sua popolazione, anche se non la maggioranza, non lo voleva
più, avrebbe detto: se il problema sono io, me ne vado. Assad non l’ha fatto all’inizio,
quando poi forse sarebbe stato anche più elegante, non lo farà certamente oggi.
D.
- Secondo lei, c’è un pericolo di "alqaedizzazione" dell'opposizione siriana?
R.
- Oggettivamente parlando, no. Chi sa più chi è Al Qaeda? E’ diventata un’etichetta
sotto la quale passa qualsiasi cosa. Ci possono essere combattenti, ci possono essere
mercenari, ci possono essere pazzi invasati… Sotto Al Qaeda è passato di tutto. Il
terrorismo va sconfitto togliendogli l’acqua in cui nuotare: noi dobbiamo impedire
che situazioni di crisi brutale, violenta, ingestibile, incontrollabile come questa,
offrano il terreno per organizzazioni come Al Qaeda o per riprendersi o svilupparsi.
Ad
operare in Siria da più qualche mese è l'ong Medici senza frontiere. Nel nord, in
una zona controllata dai ribelli, ma tenuta segreta per motivi di sicurezza, ha installato
senza l’autorizzazione governativa, un ospedale per gli interventi d’urgenza. Vi accedono
in centinaia, ma non basta, dicono. Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza
di Dounia Dekhili medico, vice responsabile delle operazioni d’urgenza di MSF,
appena tornata dalla Siria:
R. - C’est un
hôpital qui est installé depuis deux mois sur le territoire syrien ... Si tratta
di un ospedale che è stato installato sul territorio siriano da circa due mesi. Si
trova in una casa disabitata di due piani. Abbiamo potuto organizzare una sorta di
pronto soccorso attrezzato di una sala per la terapia intensivaper i pazienti
che arrivano in condizioni veramente gravi. Nella parte operativa abbiamo una zona
per la degenza ospedaliera e una sala di rianimazione. Possiamo ospitare da un minimo
di 12 a un massimo di 30 letti. L’équipe è composta da 7 medici internazionali e da
una cinquantina di siriani. Dall’inizio dell’attività abbiamo accolto più di 300 pazienti
che richiedevano cure urgenti, ed effettuato 150 operazioni chirurgiche.
D.
- Da dove provengono i feriti?
R. - Ils arrivent d’un peux par tout : aussi
bien de Hama que de Alep, … Provengono un po’ da tutte le parti, da Hama, da Aleppo...
A volte i pazienti impiegano due giorni per arrivare alla nostra struttura. Le lascio
immaginare in che condizioni arrivano. Il tragitto è spesso difficile, perché non
possono passare per le vie principali, spesso devono evitare le linee del fronte o
le zone dove ci sono conflitti tra i ribelli e i militari siriani. Purtroppo, alcuni
arrivano troppo tardi ...
D. - Sono soldati, ribelli, civili? Quante donne
e bambini arrivano da voi?
R. - Il y a de tout qui arrive : sur les 300 patients
qui sont arrivés, 20% sont … Arrivano pazienti di ogni tipo. Dei 300 pazienti che
abbiamo qui, il 20 per cento ha meno di venti anni e il dieci per cento hanno meno
di dieci anni. Le donne sono tra il cinque e il dieci percento. Il novanta percento
dei pazienti che seguiamo, sono persone vittime della violenza della guerra, ferite
da colpi di arma da fuoco o esplosioni provenienti dei carri armati e dai bombardamenti.
D.
- Si parla sempre degli insorti. Ma secondo lei, sono dei giovani siriani o degli
stranieri?
R. - Pour nous, c’est assez compliqué parce-que en fin, en ne demande
pas … Per noi è difficile identificarli perché quando le persone arrivano qui non
chiediamo se siano dei combattenti o meno. La cosa che più ci preoccupa è il fatto
che hanno bisogno di cure. Abbiamo anche dei bambini feriti e questo a dimostrazione
del fatto che la guerra non risparmia la popolazione civile.
D. - Voi avete
la possibilità di sapere se le armi utilizzate sono armi chimiche?
R. - Pour
l’instant, on n’a pas – à notre niveau, à niveau de notre structure - …Per quanto
riguarda la nostra struttura fino ad ora non abbiamo avuto tracce dell’utilizzo di
armi chimiche.
D. - Il governo non ha autorizzato il vostro ospedale. Voi avete
contatti con il regime?
R. - Nous avons faites des demandes répètes d’autorisation
à travailler …Abbiamo più volte presentato domanda per avere le autorizzazioni necessarie
per poter fare il nostro lavoro. Fino ad ora sono rifiutate.
D. - Secondo voi
il regime siriano perseguita i feriti che provengono dal vostro ospedale o da altre
strutture simili?
R. – C’était sur cette problématique que nous avions étés
interpellés … Dall’inizio dei disordini in Siria, spesso ci è stato chiesto questo.
Ci si è resi conto attraverso le testimonianze di un gruppo dimedici siriani
che lavoravano all’interno, e dai pazienti che andavano a rifugiarsi in Giordania
e che arrivavano alla nostra struttura -perché abbiamo un ospedale chirurgico in Giordania
che esiste dal 2006 - del problema della mancanza di accesso alle cure per i feriti;
questo non perché le strutture non esistono, perché il sistema medico siriano è molto
efficiente, e questo è risaputo, ma perché c’è veramente una difficoltà all’accesso
alle cure per i feriti.
D. - Molte ong hanno affermato che la situazione in
Siria è disastrosa. Quale la cosa più urgente da fare secondo voi?
R. – Déjà
je tiens a préciser que nous nous avons préinstallée cette structure … Prima di
tutto, ci tengo a precisare che noi abbiamo potuto installare questa struttura che
deve restare piccola per ragioni di sicurezza e perché siamo in una piccola porzione
di territorio dove è stato possibile per noi sistemarci; questo non ci dà che visione
parziale di tutto quello che può succedere su tutto il territorio. Sappiamo bene che
i 300 pazienti che abbiamo potuto curare sono già un grande passo per noi, ma sappiamo
bene che è poco rispetto ai bisogni reali. Bisogna reiterare l’appello alle parti
in conflitto affinché autorizzino - e questo è essenziale - l’accesso agli organismi
umanitari in un contesto di un conflitto come questo.
D. - Durante questi due
mesi di lavoro, la situazione è peggiorata nel nord della Siria?
R. – Je pense
qu’elle c’est dégradée dans deux endroits seulement ; … Penso che sia peggiorato
soltanto in alcuni luoghi… Oggi l’attenzione è soprattutto sul Nord perché c’è la
battaglia di Aleppo, e i giornalisti, più o meno, riescono ad avere accesso in quelle
zone; si hanno invece poche informazioni concrete su quello che accade da altre parti,
come nella parte dell’estremo est, a Damasco, a Homs. Immaginiamo che la situazione
sia brutta ovunque.
D. - C’è un clima di paura?
R. – Oui : ça parce-que
c’est une chose largement évoqué par les témoignages des … Sì, questo sentimento
ricorre spesso nelle testimonianze dei rifugiati che arrivano sempre più numerosi
soprattutto nei Paesi limitrofi.Abbiamo incontrato molti giovani rifugiati
in Giordania, e sempre più spesso le famiglie intere sono state costrette a spostarsi
più volte, partendo per esempio da Homs o Damasco, e che ora, si trovano nella condizione
di dover lasciare Damasco o addirittura il Paese. Questo è un chiaro segno del degrado
umanitario e di sicurezza per la popolazione civile.