2012-08-14 20:07:43

Siria, l'ex premier fuggito in Giordania: il regime di Assad è quasi alla fine


In Siria sotto assedio Aleppo Damasco ed Homs: anche ieri si sono registrate decine di vittime. Sul fronte diplomatico, si fa avanti la Cina disposta ad una mediazione tra il governo e i ribelli, mentre la Russia ribadisce la disponibilità del presidente Assad ad uscire di scena per risolvere la crisi. Dalla Giordania, la prima apparizione pubblica dopo la fuga dell’ex premier del regime Hijab che ribadisce: Assad è al collasso, ormai controlla meno di un terzo del territorio. Cecilia Seppia RealAudioMP3

Continua la pioggia di bombe su Aleppo e Damasco, mentre i ribelli tentano una disperata resistenza ad Homs, bersagliata senza tregua dall’esercito. Incerto il bilancio dei morti di ieri che secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani è salito ad oltre 23 mila dall’inizio della rivolta contro Assad, ormai 17 mesi fa. Nella capitale è arrivata Valerie Amos, rappresentante Onu per gli Affari umanitari, che dovrà fare il punto sugli aiuti ai profughi, più di un milione e mezzo all’interno della Siria, oltre 150 mila nei Paesi vicini. Sul fronte diplomatico prende piede la mediazione della Cina. Oggi colloqui a Pechino tra l'inviato speciale del presidente siriano Shaaban, e il ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi disposto ad incontrare anche i membri dell’opposizione. Da Amman, in Giordania tuona invece l’ex premier di Assad, Riad Hijab, fuggito all’inizio di agosto, che denuncia “crimini contro la popolazione”. Il regime è crollato dal punto di vista militare, economico e morale dice - mentre invita tutti alla rivoluzione, perché, afferma, non c’è più spazio per una soluzione politica. Un altro duro colpo per Damasco è arrivato con la sospensione della Siria, dall'Organizzazione della Cooperazione Islamica, nonostante il voto contrario dell’Iran.

Quali conseguenze dell’espulsione, che sarà ratificata domani, della Siria dall’Oci, Organizzazione della Conferenza Islamica? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Stefano Torelli, membro del Cisip, Centro Italiano di Studi dell’Islam politico: RealAudioMP3
R. – Diciamo che le conseguenze di questa decisione adottata sono in realtà più simboliche che altro. Si tratta di un’organizzazione abbastanza importante, dal punto di vista politico Fra l’altro anche in seno a queste organizzazione è maturata l’ennesima spaccatura tra il blocco arabo-sunnita e l’Iran. Peraltro, bisogna ricordare che il presidente dell’organizzazione è un turco e anche questo ha un suo peso. Le conseguenze sono più simboliche che effettive, perché stanno a dimostrare ancora una volta l’isolamento in cui il regime di Damasco si trova, anche all’interno dello stesso blocco dei Paesi islamici, dei Paesi musulmani.

D. – Quella proposta che era stata fatta del mediatore dell'Onu e dell'Unione Africana, Kofi Annan, di inglobare l’Iran in una trattativa per favorire l’uscita di scena di Assad, può ancora essere una prospettiva valida?

R. – Più che una prospettiva valida realisticamente potrebbe essere l’unica vera prospettiva percorribile. L’Iran è un attore fondamentale da coinvolgere in qualsiasi negoziato che riguardi i conflitti in Medio Oriente. E Kofi Annan è stato realista e anche lungimirante. D’altro canto, però, vi sono equilibri politici difficili da scardinare e quindi, oggi come oggi, soprattutto per il veto di Paesi come gli Stati Uniti e di altri. E’ chiaro che ormai si è arrivati ad un punto in cui Stati Uniti, Occidente e in parte anche Turchia, che invece prima si poneva sempre come un interlocutore tra l’Occidente e l’Iran, abbiano maturato la decisione. La sensazione è che la crisi siriana non debba più passare neanche per Teheran, ma debba essere risolta in altro modo. Quale altro modo non è stato messo bene in chiaro.

D. – Tra poco scade il mandato degli osservatori Onu in Siria. Che bilancio si può fare di questa missione?

R. – Non è un successo. E’ stata una missione che è stata messa in campo soprattutto per cercare, anche tramite l’azione diplomatica, come assicurava Kofi Annan, di trovare delle soluzioni condivise, ma le caratteristiche stesse di questa missione hanno subito messo in evidenza, a mio avviso, la debolezza della missione stessa. La Siria è ormai – nessuno lo nasconde più – un vero e proprio teatro di guerra civile e la missione attuale dell’Onu prevede l’invio di 300 soldati, non armati, a titolo di osservatori, per monitorare la situazione. Mi sembra che l’azione dell’Onu sia stata più simbolica che efficace, dal punto di vista reale.

Ultimo aggiornamento: 15 agosto 2012







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