Siria, l'ex premier fuggito in Giordania: il regime di Assad è quasi alla fine
La Siria ancora stretta nella morsa della violenza. Pesanti scontri in tutto il Paese,
a Damasco è giunta Valerie Amos, rappresentante Onu per gli Affari umanitari, che
dovrà fare il punto sugli aiuti ai profughi. Mentre la Conferenza dei Paesi Islamici
ha deciso l’espulsione della Siria dall’organizzazione, pesano le dichiarazioni dell’ex
premier siriano fuggito in Giordania. Benedetta Capelli:
“Il regime di
Damasco sta commettendo crimini contro la popolazione, io non potevo continuare a
guardare”. Riad Hijab, ex premier siriano, spiega così la sua decisione di ripiegare
in Giordania. In una conferenza stampa, sottolinea che solo l'Esercito Siriano Libero
sta difendendo i civili dalla violenza del regime che ormai – afferma – controlla
il 30% del Paese e non ha più la forza economica e finanziaria per resistere. Parole
che arrivano nel giorno in cui i ministri degli Esteri dei Paesi della Conferenza
Islamica, riuniti alla Mecca, hanno deciso di sospendere la Siria dall'Organizzazione
nonostante la contrarietà dell’Iran. Un modo per isolare ancora di più il presidente
Assad. In Siria gli scontri continuano soprattutto ad Aleppo e a Damasco, secondo
l’opposizione, solo ieri sono state 160 le vittime, cento i civili uccisi. La tv iraniana
Al Alam ha reso noto il rapimento di un suo reporter, fermato dai ribelli ad Homs
mentre rientrava a casa. Intanto cresce l’emergenza umanitaria, a Damasco è giunta
Valerie Amos, vice segretario generale dell'Onu per gli affari umanitari. In programma
incontri con il sottosegretario agli Esteri siriano per discutere degli aiuti a più
di un milione e mezzo di sfollati all'interno della Siria e ai circa 150 mila rifugiati
nei Paesi confinanti.
Quali conseguenze dell’espulsione, che sarà ratificata
domani, della Siria dall’Oci, Organizzazione della Conferenza Islamica? Benedetta
Capelli lo ha chiesto a Stefano Torelli, membro del Cisip, Centro Italiano
di Studi dell’Islam politico:
R. – Diciamo
che le conseguenze di questa decisione adottata sono in realtà più simboliche che
altro. Si tratta di un’organizzazione abbastanza importante, dal punto di vista politico
Fra l’altro anche in seno a queste organizzazione è maturata l’ennesima spaccatura
tra il blocco arabo-sunnita e l’Iran. Peraltro, bisogna ricordare che il presidente
dell’organizzazione è un turco e anche questo ha un suo peso. Le conseguenze sono
più simboliche che effettive, perché stanno a dimostrare ancora una volta l’isolamento
in cui il regime di Damasco si trova, anche all’interno dello stesso blocco dei Paesi
islamici, dei Paesi musulmani.
D. – Quella proposta che era stata fatta del
mediatore dell'Onu e dell'Unione Africana, Kofi Annan, di inglobare l’Iran in una
trattativa per favorire l’uscita di scena di Assad, può ancora essere una prospettiva
valida?
R. – Più che una prospettiva valida realisticamente potrebbe essere
l’unica vera prospettiva percorribile. L’Iran è un attore fondamentale da coinvolgere
in qualsiasi negoziato che riguardi i conflitti in Medio Oriente. E Kofi Annan è stato
realista e anche lungimirante. D’altro canto, però, vi sono equilibri politici difficili
da scardinare e quindi, oggi come oggi, soprattutto per il veto di Paesi come gli
Stati Uniti e di altri. E’ chiaro che ormai si è arrivati ad un punto in cui Stati
Uniti, Occidente e in parte anche Turchia, che invece prima si poneva sempre come
un interlocutore tra l’Occidente e l’Iran, abbiano maturato la decisione. La sensazione
è che la crisi siriana non debba più passare neanche per Teheran, ma debba essere
risolta in altro modo. Quale altro modo non è stato messo bene in chiaro.
D.
– Tra poco scade il mandato degli osservatori Onu in Siria. Che bilancio si può fare
di questa missione?
R. – Non è un successo. E’ stata una missione che è stata
messa in campo soprattutto per cercare, anche tramite l’azione diplomatica, come assicurava
Kofi Annan, di trovare delle soluzioni condivise, ma le caratteristiche stesse di
questa missione hanno subito messo in evidenza, a mio avviso, la debolezza della missione
stessa. La Siria è ormai – nessuno lo nasconde più – un vero e proprio teatro di guerra
civile e la missione attuale dell’Onu prevede l’invio di 300 soldati, non armati,
a titolo di osservatori, per monitorare la situazione. Mi sembra che l’azione dell’Onu
sia stata più simbolica che efficace, dal punto di vista reale.