Siria. L'Onu:" la violenza è ovunque". Ancora una vittima tra i giornalisti
Si combatte ancora in Siria.”La violenza è ovunque in aumento e la responsabilità
è di entrambe le parti in conflitto”. A segnalarlo è il responsabile della Missione
di Supervisione delle Nazioni Unite che, per la mancanza di condizioni di sicurezza,
non può rinnovare il suo impegno sul territorio, in scadenza il prossimo 19 agosto.
Nelle ultime 48 ore hanno perso la vita almeno 45 persone nella sola Damasco, centocinquanta
in tutto il Paese. E c’è allarme anche per il rapimento e l’assassinio di giornalisti,
mentre continua il flusso di profughi, circa 60mila nella sola Turchia. Il servizio
di Gabriella Ceraso:
La violenza
non si è attenuata e gli osservatori Onu non possono esercitare le loro funzioni.
Lo deve ammettere il segretario generale Ban ki Moon al Consiglio di sicurezza della
Nazioni unite. Damasco e Aleppo registrano infatti un acuirsi degli scontri: nella
capitale bombe e rastrellamenti si susseguono sia in periferia che nel circondario,mentre
ad Aleppo l’armata siriana ha espugnato la seconda roccaforte degli oppositori,Seif
al-Dawla, nell’ovest. I ribelli dal canto loro giustiziano ogni sostenitore del regime;
rivendicano, con tanto di filmato del pilota preso prigioniero, l’abbattimento di
un Mig governativo nei cieli di Dayr az Zor - solo un guasto tecnico invece per la
tv di Stato- e infine vantano nelle loro file un altro disertore, il segretario permanente
presso la sede Onu a Ginevra. Ma non finisce qui: gli oppositori chiedono lo stop
dei bombardamenti indiscriminati e dell'assedio di Tal, sobborgo a nord di Damasco,
in cambio del rilascio dei membri della troupe di Syria News, rapiti proprio nel quartiere,
venerdì scorso. Il cameraman sarebbe, secondo il regime, già stato ucciso. Dall’inizio
dell’anno almeno 10 esponenti dei media sono stati uccisi: Reporters sans frontières
lo denuncia, l’Onu lo condanna. E se cresce la violenza, si deteriora la situazione
umanitaria: a fare il punto, tra Siria e Libano, arriverà da domani a giovedì la missione
della responsabile Onu, Valerie Amos.
Intanto è stallo sul fronte della diplomazia
internazionale, a seguito del rinvio, a data da destinarsi, della riunione della Lega
Araba che ieri avrebbe dovuto dare il via libera alla nomina dell’algerino Brahimi
a inviato speciale per la Siria, dopo le dimissioni di Kofi Annan. Alla luce della
gravità della situazione ci si chiede dunque quanto ancora possa durare il regime
di Assad. Antonella Palermo lo ha chiesto a Renzo Guolo, decente di
Sociologia delle Religioni all’Università di Padova:
R. – Dipende
soprattutto dalla coesione interna delle forze di sicurezza, delle forze armate. Abbiamo
visto che, nelle ultime settimane, sono aumentate le fughe. Il vero nodo è la fedeltà
dei sunniti, nel senso che i sunniti costituiscono anche la maggior parte delle truppe
coscritte e quindi sono il nerbo del potere e della leva di forza del regime. Se si
rompesse definitivamente questo equilibrio, anche perché il conflitto assume una matrice
sempre più identitaria che in qualche modo richiede l’appartenenza alla propria comunità
di origine, è chiaro che il regime non potrebbe durare a lungo. E’ anche vero, però,
che contrariamente al caso libico, qui abbiamo la Russia da una parte, a livello diplomatico,
e l’Iran, sicuramente non solo a livello diplomatico ma anche a livello di appoggio
tattico, strategico e militare, a fianco del regime, come si è visto anche l’altro
giorno con la missione dell’inviato dell’ayatollah Khamenei, Jalili, a Damasco.
D.
– Quanto questa nomina del diplomatico algerino Brahmi, che ancora non è stata ufficializzata,
come inviato speciale per la Siria, potrà effettivamente dare una svolta dal punto
di vista diplomatico...
R. – La missione di Annan si è arenata oltre che sul
veto russo, a livello internazionale, anche su una certa ritrosia della comunità internazionale
a coinvolgere l’Iran nella gestione della vicenda. Una possibile soluzione non può
che tenere conto realisticamente degli equilibri geopolitici della regione. Il nodo
è se chi appoggia gli insorti sunniti sia disposto in qualche modo ad andare ad una
trattativa con l’Iran sui futuri equilibri dell’area. Qualora questo venisse fatto,
forse potremmo giungere ad una soluzione diplomatica, altrimenti purtroppo il meccanismo
è destinato ad avvitarsi, perché non dimentichiamo che lo scontro per procura è anche
tra Iran e Arabia Saudita.
A pagare le conseguenze delle violenze in Siria
in questi ultimi giorni e non solo, sono anche i giornalisti. Ma le condizioni degli
operatori dei media non sono mai state facili in Siria, regime “ liberticida”, al
terzultimo posto nella classifica sulla libertà di stampa, stilata da Reporter senza
frontiere.Sentiamo al microfono di Gabriella Ceraso il vicepresidente dell’associazione,
per l’Italia, Domenico Affinito:
R. - Risulta
che dal marzo 2011 ad oggi, siano morti 33 giornalisti, più di 30 siano in carcere,
e che la situazione sul territorio sia sempre più deteriorata. I giornalisti vengono
visti come parte in causa del conflitto. Abbiamo cominciato con l’inizio della primavera
del 2011, con una fortissima repressione da parte del regime verso i giornalisti locali,
che venivano visti come non aderenti alla linea del regime. Ultimamente, abbiamo assistito
a violenze e rapimenti a danno invece di giornalisti filo-governativi da parte delle
forze ribelli.
D. - All’inizio c’era un black out sulla Siria. Questo forse
fa riferimento alla situazione che c’era in realtà molto prima. Mi sembra che Bashar
Al Assad sia uno dei cosiddetti “predatori della libertà di stampa” ..
R. -
In Siria non c’era né libertà di espressione, né libertà di stampa. Diamo un dato:
la Siria ha concesso al regime siriano 365 visti ai giornalisti stranieri dal marzo
2011 ad oggi; pochissimi. All’inizio non sapevamo nulla di ciò che stava succedendo
in Siria, come non sapevamo nulla di cosa stava succedendo in Birmania all’inizio,
o quello che succede all’interno della Corea del Nord Poi però in Siria è successo
che la gente si è rivoltata, quindi piano piano, si sono aperti degli spiragli.. ora
il regime sta scricchiolando. Quello che sta succedendo oggi nei confronti dei giornalisti
filo-governativi, ha una lettura proprio in quello che succedeva prima della guerra
civile, assolutamente da condannare e da non giustificare. Però l’attacco ai giornalisti
governativi da parte delle forze ribelli, avviene proprio per questo, perché in Siria
prima l’informazione era assolutamente drogata.
D. - Uccisi perché coinvolti
o uccisi deliberatamente. Entrambe le cose in Siria?
R. - Assolutamente sì.
Però, ripetiamolo ancora una volta, da condannare. Cioè ,anche se un giornalista prende
una posizione netta a favore di una parte o di un’altra, deve potersi esprimere. Noi
sappiamo che alcuni giornalisti lo fanno magari perché sono coinvolti anche nelle
dinamiche di un regime, oppure perché vengono pagati per farlo; ci sono tante motivazioni,
però questo non può assolutamente giustificare la violenza.
D. - Forse c’è
anche un altro fenomeno che si registra su quanto sta accadendo in Siria. Si lavora
tanto da fuori per cercare contatti attraverso altri mezzi di comunicazione ..
R.
- Questo è un fenomeno che accade non solo con la Siria, cioè utilizzare i giornalisti
locali per farsi dare delle informazioni e ricostruire la situazione interna. Questo
funziona; ovviamente bisogna sempre verificare le fonti. L’anno scorso abbiamo lanciato
un appello, per chiedere ai media occidentali di tutelare maggiormente le loro fonti
locali, perché il fatto che un giornalista, uno stringer siriano, lavorasse per un
giornale straniero, era considerata una cosa molto grave da parte del regime, e subiva
una serie di conseguenze altrettanto gravi.
D. - In base alla sua esperienza,
dopo la caduta di un regime, che cosa succede alla stampa? Si ha la possibilità di
far nascere un’organizzazione?
R. - Sia in Iraq, sia in Afghanistan, alla caduta
del regime, c’è stata una moltiplicazione di testate, di tv, di radio .. Di solito
questo succede; c’è una ricchezza, una vivacità, subito dopo la fine di un regime,
che non è ovviamente paragonabile con la situazione precedente. Speriamo possa succedere
anche in Siria.