Ilva: il governo intende ricorrere alla Consulta dopo i provvedimenti di chiusura
del Gip
Il governo italiano intende fare ricorso alla Consulta dopo la decisione del Gip di
Taranto confermare lo stop della produzione e il sequestro degli impianti. L’Associazione
nazionale magistrati, invece, ritiene doveroso l’intervento della magistratura. Domani
mattina il ministro dell’ambiente Clini riferirà in commissione alla Camera. Nel pomeriggio
incontro i rappresentanti degli Enti locali e il presidente dell'Ilva Ferrante. Su
questa vicenda si rischia una preoccupante contrapposizione, come sottolinea al microfono
di Amedeo Lomonaco il presiedente regionale “Acli Puglia” Gianluca Budano:
R. – Non solo
una contrapposizione tra governo e magistratura, ma tra governo e istanze dei lavoratori,
quindi anche le parti sociali, del sindacato, delle istituzioni locali … E’ come creare
due blocchi tra diritto alla salute, alla salvaguardia dell’ambiente e diritti dei
lavoratori. Ciò denota che la politica non ha per tempo affrontato tale questione;
né si può pretendere, d’altro canto, che la magistratura non eserciti fino in fondo
il proprio dovere.
D. – Qual è, a questo punto, la "via d’uscita"?
R.
– La via d’uscita probabilmente c’è; non può essere oggetto di negoziazione l’attività
della magistratura. Semmai, può essere oggetto di controllo. Contestualmente, la politica
veda di trovare quei parametri che possano rendere compatibile un provvedimento diverso
della magistratura rispetto alla salvaguardia dei posti di lavoro, ma anche di una
bonifica dell’ambiente, degli impianti da realizzare velocemente visto che sono stati
già stanziati 334 milioni di euro.
D. – Quello che si deve evitare è di radicalizzare
le posizioni …
R. – Radicalizzare lo scontro significherebbe irrigidire le
parti, significherebbe contestualmente spegnere gli impianti perché la magistratura,
con l’ordinanza del Gip, è stata molto chiara. Spegnere gli impianti in un polo siderurgico
di quelle dimensioni significa non riaccenderli più. Richiederebbe investimenti, da
parte dell’azienda, che equivarrebbero a riprendere l’attività ex novo. Quindi, questo
porterebbe al licenziamento di migliaia di lavoratori. Sono 12 mila più l’indotto.
Il secondo danno della contrapposizione è tutto di carattere giuridico, politico e
sociale. Non si possono mettere in contrapposizione dei diritti fondamentali dei cittadini
e questa contrapposizione non può svilire la vocazione industriale italiana. Bisogna
infatti tener conto che l’impianto siderurgico dell’Ilva ha dato lavoro, pur con i
suoi pregi e difetti e con le gravi responsabilità che probabilmente ha avuto la politica
nell’assecondare questo sistema industriale, ma anche la stessa azienda che probabilmente
non ha rispettato pienamente le leggi, altrimenti la magistratura non sarebbe intervenuta
così pesantemente. Questo impianto ha reso l’Italia - non Taranto, non la Puglia,
ma l’Italia – un territorio, una nazione leader nella produzione di acciaio.
D.
– Servono dunque interventi concertati …
R. – La scelta della concertazione
non è un volersi bene a tutti i costi, ma un metodo quasi necessario per affrontare
una problematica che rischia di mandare a carte quarantotto un intero sistema economico,
un intero sistema sociale, un’intera vocazione industriale di tutta la nazione rispetto
a questioni che possono costituire poi anche dei precedenti in altre realtà. Non dimentichiamo
che ci sono anche situazioni similari in altre parti della Puglia, senza uscire dai
confini regionali: il Petrolchimico di Brindisi, la centrale Enel di Brindisi-Sud
e di Brindisi-Nord … Tutta una serie di impianti industriali, sia pur con proporzioni
e dimensioni occupazionali diverse e più piccole, che hanno offerto e offrono situazioni
di contrapposizione tra diritto alla salute e diritto all’ambiente. Non vorremmo che
in nome della contrapposizione, della radicalizzazione si vanificasse sia il "sistema
Ilva" sia il sistema industriale in altre aree della regione e del Paese, senza contemperare
veramente gli interessi dei lavoratori insieme con l’interesse della salvaguardia
dell’ambiente, della salute degli stessi lavoratori e dei cittadini che soffrono le
emissioni o quelle "esternalità" negative degli impianti industriali.