2012-08-11 15:27:15

Olimpiadi, giornata conclusiva. La testimonianza di Daniele Molmenti, oro nella canoa


Ultimo giorno alle Olimpiadi di Londra: questa sera la cerimonia di chiusura. Ieri la Giamaica guidata da Bolt ha ottenuto il nuovo record mondiale alla 4x100, con uno spettacolare 36,85. La nuova geografia disegnata dal medagliere olimpico vede in testa gli Stati Uniti, seguiti da Cina, Gran Bretagna e Russia. Ottava, finora, l'Italia: tra le medaglie d'oro italiane c'è anche quella di Daniele Molmenti, primo nel K1 slalom sulla canoa. Ventotto anni, friulano, Molmenti si è fatto conoscere per la sua simpatia ma anche per la sua fede cristiana. Sarà lui a portare la bandiera italiana nella cerimonia di chiusura. Benedetta Capelli lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. - Da Pechino, dove sono arrivato decimo ed ho perso la medaglia, è iniziato questo cammino verso l’oro. Sono stati quattro anni difficilissimi, perché ho dovuto limare le piccole cose che mi mancavano. Però ho fatto la differenza con l’aiuto di Pierpaolo Ferrazzi, il mio allenatore della Forestale. Con lui siamo davvero riusciti a fare un salto di qualità importantissimo e a portare a casa questo oro.

D. - In Italia, l’attenzione al tuo sport - la canoa - manca. Vuoi lanciare un appello?

R. - Il mio sport ed anche tutti gli altri sport sono considerati minori, anche se abbiamo visto pure in questa Olimpiade di minore non c’è niente, anzi l’impegno a volte è anche maggiore e sicuramente questi sport hanno registrato dei buoni risultati negli ultimi anni. L’appello è rivolto soprattutto alle famiglie che di solito tendono a portare i ragazzini solamente a giocare a calcio. In realtà ci sono altri sport, altre attività che sono anche più belle e che possono sicuramente far maturare la persona in maniera diversa.

D. - Dal punto di vista della fede, sono tanti gli atleti che in questa Olimpiade hanno ringraziato, pregato secondo il proprio credo …

R. - Non voglio entrare in una polemica, però ho letto delle interviste rilasciate da alcuni atleti in cui hanno dichiarato di fare il segno nella croce perché porta fortuna. Ecco, io vivo la fede in maniera un po’ diversa. Non penso che Dio abbia tempo per darci la spinta durante le nostre prestazioni. Certo è che la fede dà una motivazione, una carica in più. Io di solito faccio il segno della croce trenta secondi prima di partire e ormai è un gesto automatico. È un po’ un ringraziamento. Di solito chiedo che io possa dare quello che ho nelle braccia e nella testa; nulla di più di quello che sono in realtà.

D. - Cosa ha dato di più la fede nella tua vita di sportivo?

R. - Nel 2007, feci un incidente molto grave con la moto dove mi ruppi la schiena. Ho perso delle opportunità e stavo perdendo il mio primo sogno olimpico. Lì ho avuto la forza di continuare, di stringere i denti nonostante il dolore nei cento giorni dopo l’incidente per affrontare le prime gare per entrare nella squadra nazionale. In quel momento, se non avessi avuto la fede, non penso sarei riuscito ad andare avanti, perché solo con la preghiera sono riuscito a sopportare il dolore che i medicinali non mi facevano passare. Ho sempre avuto la sicurezza che con il lavoro che ho fatto, con la mia mentalità, sarei potuto ritornare ad essere un grandissimo atleta.

D. - Don Mario Lusek, il cappellano della squadra azzurra, ti ha definito un vero friulano, un vero cristiano. Sono definizioni che ti piacciono?

R. - Mi fa molto onore. Friulano lo sono di nascita; porto sempre la bandiera del Friuli con me in tutto il mondo; cerco di essere cristiano nei limiti che la mia carriera sportiva mi permette. Giriamo tanto per il mondo, ed è difficile trovare sempre una chiesa cristiana, cattolica quando sei in Cina, in Australia o da qualche altra parte nel mondo. Però insomma, nel mio piccolo, cerco di essere un buon cristiano praticando la fede e leggendo il Vangelo.

D. - Hai dedicato la tua medaglia ad una canoista scomparsa, Barbara Nadalin...

R. - Barbara è mancata tre settimane fa a causa di una malattia al sangue. È stata olimpionica nel 1996. È stata il mio primo punto di riferimento. Sono praticamente cresciuto avendo Barbara come mio esempio. Mi ha insegnato che per arrivare a questi livelli non c’è fortuna, non c’è il caso, ma solamente tanto impegno e tanto lavoro. Mi ricordo benissimo di tanti inverni passati al freddo del fiume Noncello di Pordenone dove ci allenavamo insieme...







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