Ancora gravi scontri in Siria. Cresce l'emergenza umanitaria
Sono cifre importanti quelle che ieri l’opposizione ha fornito sui morti in Siria.
Il mese di luglio, dall’inizio della rivolta, è stato il più sanguinoso con 3643 vittime,
di cui 274 bambini. E in attesa di risvolti dal vertice convocato oggi dall’Iran sul
conflitto in Siria, gli Stati Uniti non escludono l’ipotesi di una no-fly zone. Intanto
è giallo su quanto sta accadendo ad Aleppo, cuore degli scontri, si rincorrono infatti
le dichiarazioni e le smentite da parte del regime e dei ribelli. Il servizio di Marina
Calculli:
Resta poco
più di un cumulo di macerie nel quartiere di Salh-al-Din ad Aleppo dove ieri l’esercito
leale a Bashar al Assad ha rilanciato un’offensiva durissima contro le forze della
resistenza. Gravissimo il bilancio delle vittime: secondo fonti dell’opposizione,
nella sola giornata di ieri circa 200 persone sarebbero morte. E’ una guerra armata
ma anche una guerra mediatica: secondo l’agenzia SANA, controllata dal governo, l’esercito
regolare avrebbe “ripulito il quartiere dai terroristi” nella terminologia del regime.
Ma l’esercito siriano libero, la forza principale della resistenza armata, smentisce:
“Siamo ancora in tanti a combattere qui”. Immagini satellitari hanno testimoniato
la distruzione di due fondamentali basi usate nelle ultime settimane dai ribelli.
La battaglia – è certo – non è ancora terminata. Intanto migliaia di persone sono
in fuga dal paese. Oltre 2400 nuovi rifugiati sono arrivati solo ieri in Turchia.
L’Iran, principale alleato del regime, ha intanto convocato oggi a Teheran un gruppo
di paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina per cercare una soluzione alla
crisi siriana.
E a preoccupare sempre di più la comunità internazionale è
anche l’emergenza umanitaria. Da quando sono iniziati gli scontri in Siria circa un
milione e mezzo di persone è stato costretto ad abbandonare le proprie case; 2400
sono giunti solo ieri in Turchia. Molti profughi si trovano in Giordania, oltre 39
mila, 3500 solo nel campo di Za'atri, gestito dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati.
Francesca Sabatinelli ha raggiunto telefonicamente Alda Cappelletti, responsabile
missione di Intersos nel campo:
R. - Questo
campo rifugiati si trova purtroppo in una località molto difficile dal punto di vista
ambientale: in mezzo al deserto, fa molto caldo, e la situazione di difficoltà è aumentata
dal Ramadan, è una zona molto ventosa, i rifugiati in questo momento sono ospitati
nelle tende. Tuttavia tutte le organizzazioni, noi stessi, le agenzie che iniziano
a lavorare sul campo, stanno cercando di rispondere innanzitutto ai bisogni primari
dei rifugiati. Quindi vengono assicurati cibo, acqua, servizi igienici, ci sono anche
diverse cliniche che forniscono assistenza sanitaria.
D. -Quali sono i disturbi
che si stanno manifestando tra le persone che sono ospitate al campo e, soprattutto,
in che condizioni sono arrivate da voi?
R. - Le famiglie arrivano praticamente
con niente. Hanno solamente una piccola valigia con lo stretto necessario che riescono
a portare via mentre scappano dalle città del conflitto, dalle loro case, e quindi
hanno bisogno di tutto. In particolare, in questo momento, il primo bisogno che stanno
esprimendo, è quello dei vestiti, oltre naturalmente alla casa, all’acqua al cibo,
ecc. Il fatto che si siano allontanati di corsa, ha fatto si che hanno lasciato tutte
le loro cose, anche i documenti. A tale proposito c’è un grande problema di identificazione
delle persone. Donne e bambini manifestano alti livelli di stress dal punto di vista
psicologico. I bambini simulano i giochi di guerra; le donne hanno un sentimento di
frustrazione per aver lasciato in Siria parte delle famiglie o i mariti, naturalmente
sono molto preoccupati, perché le comunicazioni con la Siria sono estremamente difficili.
Chiedono anche di poter avere accesso alle notizie date dalla televisione, e all’elettricità
per potere ricaricare i cellulari in modo da tenersi sempre in contatto con chi della
famiglia è rimasto in Siria. È una situazione estremamente delicata. L’umore generale
dei rifugiati al campo è molto basso, sono molto scoraggiati. Sono rassegnati al fatto
che dovranno passare probabilmente molti mesi prima che possano rientrare nelle loro
case.
D. - Che testimonianze portano con loro le persone che arrivano nel campo?
Che cosa vi hanno raccontato di ciò che sta accadendo nel loro Paese?
R. -
Molti dei rifugiati che in questo momento sono al campo si trovavano in Giordania
già da diversi mesi, sono stati trasferiti nel campo dai centri di transito che sono
stati chiusi dopo l’apertura di Za’atri. Quindi ormai sono diversi mesi che sono in
questo Paese, però continuano a riportare le testimonianze di questo grande conflitto
e soprattutto la paura per coloro che hanno familiari che sono rimasti in patria,
e dei quali, purtroppo, non hanno più notizie. Questa è la loro paura principale.
Temono molto anche la distruzione dei loro beni, delle loro case, e provano tristezza
perché non sanno quando potranno rientrare.
Intersos fa parte del network
Agire che ha lanciato un appello di raccolta fondi per sostenere tutte le Ong che
ne fanno parte e che sono impegnate in programmi di assistenza umanitaria in Siria
e nei paesi confinanti. Per info: www.agire.it