Siria. L’esercito rivendica la riconquista di Aleppo. I ribelli smentiscono
In Siria prosegue la dura offensiva delle forze governative su Aleppo. Secondo la
tv di Stato le truppe lealiste hanno ripreso il controllo di diversi quartieri e ucciso
numerosi "terroristi", così come definisce gli insorti. Secca la smentita da parte
dei ribelli. E mentre è stallo sul fronte diplomatico internazionale, non si ferma
il flusso di profughi verso i Paesi confinanti. Marco Guerra:
Da prima dell’alba
è partita un'offensiva su larga scala delle forze governative sulle roccaforti dei
ribelli ad Aleppo. La tv di Stato ha annunciato la conquista Salah ad Din. La stessa
fonte precisa che l'esercito è entrato anche nei quartieri di Bab al Hadid e Bab Nayrab,
nella parte est della città. Da parte sua il Libero Esercito Siriano, braccio armato
dell'opposizione, smentisce categoricamente che le truppe lealiste abbiano espugnato
lo strategico quartiere in mano agli insorti e denuncia l’uso massiccio di artiglieria
pesante, jet da combattimento e razzi. Non solo, la fonte citata da al-Jazeera, sostiene
anche che i ribelli hanno abbattuto un caccia e sono entrati in possesso di cinque
carri armati di Damasco. Di sicuro c’è la violenza dei combattimenti documentata anche
dalle immagini satellitari diffuse da Amnesty International. Foto che mostrano almeno
600 crateri formati dai proiettili di artiglieria pesante. Smentite arrivano anche
sulla presunta uccisione di un generale russo annunciata dai ribelli. “Sono vivo e
sto bene” ha detto Vladimir Kuzheiev da Mosca parlando di provocazione contro il suo
Paese. Si infittisce poi il giallo dei 48 pellegrini iraniani rapiti dai ribelli.
Alcuni di loro sono ex guardie della rivoluzione e militari, ha ammesso il ministro
degli Esteri iraniano pur confermando che si trovavano a Damasco per un pellegrinaggio.
Infine altri 2400 profughi e disertori hanno raggiunto la Turchia nelle ultime 24
ore. Non va meglio nel nord della Giordania dove ogni giorno 1500 siriani passano
il confine.
Una situazione grave in cui molti auspicano un’immediata azione
internazionale. Lo sottolinea il padre gesuita Paolo Dall’Oglio, costretto
a giugno a lasciare il Paese dopo che le autorità siriane non gli avevano rinnovato
il permesso di soggiorno. Solo qualche giorno fa il monastero di Deir Mar Musa, nel
quale ha vissuto per anni, è stato attaccato da uomini armati. Amedeo Lomonaco
ha raggiunto telefonicamente a Washinghton, negli Stati Uniti, padre Dall’Oglio, impegnato
in una serie di conferenze rivolte ai siriani all’estero:
R. - È il momento
dell’intervento Onu? Sicuramente sì, perché il rischio che cada il regime e continui
la guerra civile, è molto reale. È responsabilità della Comunità internazionale quella
di disinnescare questo rischio, proteggendo le popolazioni civili contro eventuali
massacri e, comunque, riaprendo la possibilità di un negoziato nazionale che vada
verso la pacificazione del Paese e, nella fase costituzionale, che offra alle componenti
della società siriana un posto.
D. - Un contesto geopolitico in cui hanno un
peso rilevante anche le posizioni di Russia e Iran…
R. - La Siria non può essere
utilizzata per conflitti regionali e geostrategici più complessi, dove ci si vendica
dell’Iran in Siria, o si dà una lezione alla Russia in Siria. Ci si sarebbe dovuti
aspettare un negoziato più consistente con i russi e con gli iraniani per ottenere
una Siria neutrale e davvero democratica, un po’ come in Austria dopo la Seconda Guerra
Mondiale. L’Austria non era schierata né con la Nato né con il blocco sovietico, però
era veramente democratica. Questa è la Siria che vogliamo: una Siria non schierata
e neutrale nei giochi geostrategici e pronta a svolgere il suo ruolo con quell’armonia
intercomunitaria e interreligiosa che le è propria e in una democrazia costruita su
una società civile matura. Allora poi la Siria avrà un ruolo positivo in tutta la
regione, e per la pacificazione anche tra gli arabi ed Israele che tutti vorrebbero
si realizzasse.
D. - Dunque, la guerra civile, con divisioni sempre più laceranti,
potrebbe continuare anche dopo l’eventuale caduta del regime di Assad…
R. -
Questa guerra civile potrebbe continuare anche dopo, perché gli uomini del regime
si potrebbero radunare, rafforzare, fortificare ed arroccare nella zona ad Ovest del
fiume Oronte protetti, eventualmente, da Iran e Russia. È chiaro che a questo punto,
l’Onu dovrebbe intervenire per proteggere la popolazione e fare in modo che il negoziato
fra le popolazioni - non con il regime - porti ad un accordo nazionale e salvi l’unità
del Paese e lo sforzo democratico. Non è immaginabile nessun compromesso sul fatto
che si passi da un regime ad una democrazia matura.
D. - Domenica scorsa uomini
armati hanno saccheggiato, fortunatamente senza provocare vittime, il monastero di
Mar Musa, da lei rifondato nel 1982. Un episodio che si inserisce nella profonda incertezza
in cui vive l’intero Paese...
R. - È stato un furto. Sono bande armate di contrabbandieri
sul confine libanese. La situazione della zona, fra Damasco ed Homs, è di grave anarchia
sul terreno. Quindi è certamente una grande ferita per me, una grande preoccupazione
ed anche una preoccupazione per il futuro dei cristiani in tutta la regione. Quando
c’è anarchia, è chiaro che le popolazioni soffrono tutte e i cristiani che sono in
minoranza si sentono schiacciati tra questi ‘vasi di ferro’ e, quindi, tendono ad
andarsene. Il rischio è questo. Ad Aleppo, a Damasco, ad Homs se ne sono già andati,
ed altrove purtroppo, sono stati armati dal regime. Quindi preghiamo per i nostri
fratelli cristiani in Siria, preghiamo per tutti i siriani. Dobbiamo recuperare anche
quelli che erano con il regime, e che adesso si risveglino da un brutto sogno, e capiscano
che è una pagina che va voltata e che bisogna costruire insieme una Siria nuova.
D.
– Padre Dall’Oglio, la situazione attuale, al momento, le impedisce di tornare in
Siria, ma probabilmente il desiderio di rientrare nel Paese è più forte della paura...
R.
- Io spero di tornare prestissimo in Siria. Ma per me, l’essenziale è di non mettere
in pericolo nessuno con la mia presenza. Per ora faccio un lavoro a tempo pieno, a
favore della riconciliazione tra i siriani. Il dialogo tra i siriani all’estero può
avere una eco molto positiva sul futuro del Paese. Ho visto tante comunità siriane
all’estero in giro per l’America del Nord. Lo farò anche in Europa e spero che questo
possa avere un effetto. Comunque, spero di tornare insieme con tanti che in questi
mesi difficili sono usciti dal Paese. Spero di tornare prestissimo in Siria per ricostruire.
D.
– Quali sono i frutti di queste conferenze rivolte ai siriani all’estero, alle quali
lei sta partecipando in questi giorni negli Stati Uniti?
R. - La cosa più consolante
è che, qualche volta, questi siriani all’estero, che non riuscivano a parlarsi, perché
in fondo sono schierati, come all’interno del Paese, tra chi è con il regime e chi
è decisamente contro il regime, finiscono con il trovare un dialogo in un contesto
diverso, in cui non c’è la censura, la prigione, la tortura, la paura. Anche coloro
che sono con il regime hanno paura del regime. Anzi qualche volta sono quelli che
hanno più paura di tutti, persino qui in America. Quando riescono ad aprirsi e a parlare
tra loro, si riconoscono come cittadini di un Paese nuovo e in un unico desiderio
di costruirlo insieme.