Raid egiziano nel Sinai: uccisi 20 miliziani islamisti
La penisola del Sinai si conferma terreno di scontro. Le truppe militari egiziane,
supportate dall'aviazione, hanno ucciso 20 miliziani al confine con Israele e continueranno
finchè non sarà ristabilita la sicurezza. Lo ha comunicato l’esercito del Cairo, quasi
certamente in risposta all'attacco organizzato qualche giorno fa da estremisti islamici
e costato la vita a 16 militari egiziani. Un’area, quella del Sinai, strategica da
un punto di vista turistico ed economico, ma che dalla caduta di Mubarak è diventata
l’epicentro delle tensioni egiziane. Il presidente Morsi oggi ha sostituito i vertici
di intelligence e sicurezza, ma riuscirà a ristabilire gli equilibri interni al suo
Paese? Salvatore Sabatino ne ha parlato con Giorgio Bernardelli, giornalista
esperto di questioni mediorientali:
R. - Riaffermare
il controllo da parte del governo egiziano su un’area come il Sinai che dalla caduta
di Mubarak è completamente fuori controllo, è uno dei passi decisivi per l’affermazione
della sua autorità all’interno dell’Egitto. Non dimentichiamo che oggi come oggi,
la leadership anche dei Fratelli Musulmani deve fare i conti con altre forze islamiste,
che cercano di far saltare quei delicati equilibri che si cercano di costruire al
Cairo. Insomma, è una partita decisiva per il presidente egiziano, e credo che su
questo, si giochi molte delle possibilità di stabilità nella regione.
D. -
Chi ha l’interesse di far salire così la tensione nell’area? Nei giorni scorsi dai
Fratelli Musulmani -che è il partito di Morsi-, erano partite accuse nei confronti
di Israele ...
R. - C’è un fatto che è reale, cioè questa ondata di violenze
è scaturita da una delle operazioni mirate, compiute dall’esercito israeliano a Gaza,
che ha colpito un leader delle forze di Al Qaeda all’interno della Striscia di Gaza,
e quindi da questo punto di vista, c’è un fondo di verità. Ma il punto è che comunque,
Israele o non Israele, la situazione della Penisola del Sinai è fuori controllo, è
un problema a sé. Al Qaeda ha guadagnato nel Sinai una roccaforte in questi mesi,
e non ha alcuna intenzione di vedersela sottrarre, perché si trova in una zona decisiva
e anche perché è suo interesse una penetrazione sempre maggiore nella Striscia di
Gaza che, non dimentichiamo, è l’altro anello debole della catena.
D. - C’è
chi parla anche di legami con la situazione in Siria, con gruppi che stanno cercando
di infiammare il Paese, che di fatto, ancora oggi, ricopre un importantissimo ruolo
di stabilizzazione del Medio Oriente ..
R. - Anche in questa analisi c’è una
parte di verità, nel senso che dobbiamo abituarci a guardare a quanto sta succedendo
in Siria sempre di più, non solo semplicemente come ad una guerra civile interna tra
Assad e i suoi oppositori, ma ad un conflitto regionale nel quale quelle che sono
le diverse forze che puntano ad avere il predominio sulla regione, si stanno combattendo
per procura in un certo senso. Per cui stiamo parlando dell’Iran, dell’Arabia Saudita,
di queste forze qaediste, ma anche della Turchia. L’Egitto, dal canto suo, è la cartina
di tornasole della possibilità di limitare quest’area di instabilità e di non infiammare
l’intera regione.
D. - Le tensioni in atto rischiano di far crollare anche
l’industria del turismo. Ricordiamo che proprio ai piedi del Sinai ci sono importanti
località balneari sul Mar Rosso. Far cadere questa industria, vuol dire colpire al
cuore l’Egitto ...
R. - Certamente. Questo è un altro dei motivi per cui è
decisivo per il presidente Morsi riaffermare la propria sovranità sull’intera Penisola
del Sinai. Questa è un’altra delle ragioni fondamentali, per cui oggi si combatte
questa battaglia. Il Sinai è, comunque, vitale dal punto di vista turistico per il
futuro dell’Egitto, e senza le entrate del turismo, l’Egitto non ha futuro.