Il preposito generale dei Gesuiti: la chiave per affrontare la crisi è entrare nel
cuore delle persone
La chiave di tutto è entrare nel cuore delle persone. Il preposito generale della
Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás, riflette sui problemi provocati dall’attuale
crisi mondiale ed esorta a “non perdersi in progetti superficiali”, frutto di divisioni
e contrasti, “ma riscoprire che c’è qualcosa di più profondo, di più evangelico”.
La crisi, insomma, rappresenta una possibilità di riscatto dell’umanità, un’occasione
di cui approfittare, partendo dai fondamentali della società, come la famiglia. Stefano
Leszczynski ha intervistato padre Adolfo Nicolás su questi temi:
R. – Ci sono
due aspetti da prendere in considerazione: uno è quello che attiene alla famiglia
umana, l’altro è quello che riguarda la famiglia vera e propria. Riflettendo sulla
vita cristiana mi sono sempre più convinto che la famiglia è veramente il luogo dove
la gente cresce come persona. E cresce anche nel seguire Cristo, perché la famiglia
pone tante questioni ai genitori ed i genitori imparano, nella famiglia, a dimenticare
se stessi. E questo avviene di continuo, è un qualcosa che non si ferma: ogni età
ha i suoi problemi, le sue sfide, i propri percorsi di crescita e tutto questo è molto
concreto quando avviene nell’ambito di una famiglia, dove si vede che la relazione
deve essere una relazione creativa, una relazione dinamica. Non può essere ‘egoistica’:
“tu hai il tuo posto e io ho il mio”, perché questo non funziona. Deve essere una
relazione continua di interazione, e allora è una sfida continua per i genitori: o
si cresce insieme o nessuno vive, la famiglia diventa un inferno. Allora, credo che
se la Chiesa vuol parlare oggi di santità e di come seguire Cristo, la famiglia è
il posto dove si impara. E gli altri che non hanno come compito principale quello
di sviluppare la propria famiglia, devono svolgere un lavoro di assistenza, di accompagnamento
e di testimonianza. Il ruolo essenziale della famiglia è quello di un luogo di crescita..
D. – La famiglia come punto di riferimento da sostenere e da sviluppare, ma
allo stesso tempo un punto di riferimento al quale guardare come esempio anche quando
si parla di rapporti tra gli Stati, tra le parti ricche e le parti povere del mondo?
R. – Sì, questo sarebbe il secondo aspetto: il secondo aspetto è la famiglia
come famiglia umana. Credo che oggi la consapevolezza del mondo sia più grande anche
in termini di ecologia: siamo più consapevoli del fatto che se distruggiamo il nostro
mondo anche noi ne soffriamo, che è la stessa vita umana ad essere in pericolo; non
è soltanto la vita dei gorilla o di alcuni animali in via d’estinzione ad essere in
pericolo, ma è la vita umana a soffrirne. Possiamo notarlo già in molti luoghi: a
Tokyo, per esempio, l’uomo ha distrutto l’habitat dei corvi e questi sono venuti in
città ed è una piaga. I corvi arrivano e cercano da mangiare tra i rifiuti e allora
i rifiuti diventano sempre più disordinati. Si mettono delle reti per evitare che
vengano dispersi, ma si creano altri problemi perché i corvi sono intelligenti, sono
tra gli uccelli più furbi. E’ una situazione che vediamo nei piccoli segni, ma anche
nei grandi segni: la mancanza di aria, la mancanza d’acqua ecc. Non è una questione
di mera ecologia, ma innanzitutto di ‘ecologia umana’. L’esperienza che abbiamo recentemente
fatto in Africa (in occasione della Congregazione dei Procuratori della Compagnia
di Gesù a Nairobi, in Kenya, nella seconda settimana di luglio, n.d.a.) è stata
molto importante per noi perché abbiamo visto come in Africa, privata delle sue risorse
e devastata da conflitti provocati da chi vuole impossessarsene, i popoli abbiano
conservato la propria umanità, che manifestano con un forte senso di accoglienza,
di ospitalità, di vicinanza agli altri. Gli africani si sentono in relazione con il
resto del mondo. E’ vero quello che ci ha detto il Provinciale dell’Africa orientale
quando ci ha salutati con un “Bentornati a casa”, perché l’Africa è la casa di tutti,
è il luogo dove tutto è cominciato, dove possiamo trovare ancora questi residui di
umanità, che l’Europa forse ha dimenticato.
D. – Quale era lo scopo dell’assemblea
di Nairobi?
R. – Si è trattato di un raduno di delegati provenienti da tutto
il mondo. Un raduno importante, anche se non importante come l’Assemblea generale
che si svolge sempre qui a Roma, ma si trattava di un’Assemblea di delegati per aiutare
il governo della Compagnia ad avere prospettive nuove, diverse da quelle che solitamente
ci sono nell’ambito delle Provincie.
D. – Parlando dell’attuale crisi come
un tempo di opportunità lei ha citato la figura di Sant’Ignazio. Qual è la giusta
interpretazione per dare speranza all’umanità di oggi?
R. – Il nostro tempo
è molto simile al tempo in cui viveva Sant’Ignazio. Si trattava di un’epoca in cui
tutto stava cambiando: era cambiata la comunicazione, avevano scoperto la stampa,
iniziavano i grandi viaggi, si cominciava ad andare in America, in Asia…; ma anche
una situazione simile a quella attuale per quanto riguarda i cambiamenti nei valori,
con un cambio di prospettiva, cambiamenti in ambito scientifico, nuove possibilità.
Una situazione che fa scoprire a Sant’Ignazio che la chiave di tutto è entrare nel
cuore delle persone. Non perdersi in progetti superficiali, ma andare al cuore delle
persone per far scoprire loro che c’è qualcosa di più profondo della sola geografia,
della politica o delle divisioni che esistevano in quella piccola Europa del passato
che credeva di rappresentare il mondo. Credo che sia dunque un momento molto importante
per approfittare della crisi senza lamentarsi, ma per scoprire quali sono le nuove
forme di comunicazione e di scambio che permettono alla famiglia umana di svilupparsi,
soprattutto oggi che sappiamo essere molto più complessa e diversa da quello che credevano
gli europei dell’epoca di Sant’Ignazio.
D. – Quindi i toni catastrofistici
non servono. Cosa serve per guardare avanti, al futuro dell’umanità?
R. – I
toni catastrofistici sono soltanto quando si ha una visione molto ristretta del mondo
e anche con limiti anche geografici molto limitati, però quando si guarda al mondo
con tutte le sue possibilità e quando si vede, come abbiamo notato in Africa, che
valori che sono già perduti in Europa continuano a rimanere vivi in Africa, questo
ci dà la speranza che non tutto è perduto. Sono valori che adesso tornano e l’Africa
avrà molto più peso nel futuro di quanto non abbia adesso, e lo stesso vale per l’Asia.
D.
– Quindi è meglio essere accoglienti con chi arriva da questi continenti…
R.
– Certamente abbiamo bisogno di Asia e Africa, non soltanto come Chiesa, ma anche
come umanità. E’ la famiglia umana intera che fa vivere la famiglia.