Commando jihadista attacca guardie egiziane al confine con Israele: oltre 20 i morti
E' alta la tensione al confine fra Egitto e Israele, dopo l’attacco del commando di
jihadisti al posto di frontiera all'altezza della Striscia di Gaza. E sale il numero
delle guardie egiziane e dei miliziani uccisi: almeno 16 guardie sono morte quando
il commando si è impossessato di due blindati dell'esercito egiziano: uno è riuscito
a sconfinare in Israele, l'altro è esploso prima. Quello sconfinato è stato colpito
dall’aviazione israeliana a Kerem Shalom, valico di passaggio proprio fra Israele,
Egitto e Striscia di Gaza, e sembra siano rimasti uccisi 8 miliziani e non 5 come
detto in un primo momento. Il valico di frontiera di Rafah è chiuso e in tutta l'area
è stato decretato lo stato di allerta. Della instabilità dell'area Fausta Speranza
ha parlato con Janichi Cingoli, direttore del Centro Italiano per la pace in
Medio Oriente:
R. - Siamo in
una situazione di vuoto nel Sinai, che si è creato perché le truppe egiziane controllano
molto di meno il territorio e i beduini locali si sono fatti infiltrare da componenti
legati ad Al Qaeda. Questo crea una situazione per cui il territorio risulta un po’
senza controllo. La cosa impressionante è che questi terroristi non hanno semplicemente
attaccato un obiettivo israeliano ma non hanno esitato ad uccidere soldati egiziani
come se non ci fosse differenza fra israeliani ed egiziani. Quindi qui l’obiettivo
è duplice: da un lato, rivendicare gli attacchi contro gli israeliani, ma dall’altro
anche di destabilizzare, in qualche modo, questa transizione estremamente delicata
che è in atto in Egitto, con Mursi che è stato eletto dai Fratelli Musulmani e che
cerca un accomodamento con la giunta militare. Questo si vede anche nella composizione
del nuovo governo che ha una ridottissima presenza dei Fratelli Musulmani: solo quattro
ministri.
D. - Cosa può significare questa escalation di violenza terroristica
nella fase geopolitica dell’area?
R. - C’è un problema: questo nuovo governo
e questa nuova presidenza dicono di volere riconfermare i trattati internazionali.
C’è stato anche l’episodio della lettera di Mursi a Peres in cui confermava la volontà
di andare avanti su un discorso di pace con Israele, lettera che poi è stata ufficialmente
ritrattata. In ogni caso, c’è una situazione di incertezza e così all’interno si inseriscono
queste attività terroristiche che hanno un doppio obiettivo: da un lato, quello di
colpire Israele ma, dall’altro, sicuramente proprio quello di colpire l’attuale leadership
egiziana. Il tutto avviene in un momento di stallo negoziale pressoché completo, quindi
il messaggio che viene dato è che la via diplomatica non paga e che l’unica cosa da
perseguire è la via armata, la violenza. Il ritardo della diplomazia apre sempre dei
varchi.
D. - In questo momento l’emergenza Siria non aiuta. Le energie sono
concentrate sulla questione siriana…
R. – Sì è vero, però più complessivamente
direi che in questa fase la questione israelo-palestinese è comunque molto marginalizzata.
Gli stessi israeliani pensano più ai loro problemi interni e non concentrano la loro
attenzione sul problema del processo diplomatico. Anche i palestinesi sono assorbiti
molto dalle loro questioni interne. Quindi francamente percepisco una situazione di
blocco del processo diplomatico, di un orizzonte diplomatico che non si vede in questa
fase, almeno fin dopo le elezioni della prossima presidenza degli Stati Uniti, se
sarà Obama o Romney a vincere le elezioni. E quindi in una situazione di questo tipo
è chiaro che i vuoti vengono riempiti.