Violenti combattimenti in Siria. L'Assemblea Onu chiede una transizione democratica
Anche oggi nuovi sviluppi della guerra civile in Siria. Stamani c’è stato un imponente
attacco dei ribelli all'edificio della tv di Stato ad Aleppo, mentre nella periferia
di Damasco si segnalano violenti combattimenti tra membri dell'Esercito e dissidenti.
Intanto la notte scorsa l’Assemblea Generale dell’Onu ha varato una risoluzione non
vincolante che chiede una transizione “democratica e inclusiva” nel Paese mediorientale,
condannando la repressione messa in atto da Assad e criticando l’atteggiamento inconcludente
del Consiglio di Sicurezza. E tra gli osservatori c’è l’idea che la Siria, come Iraq
e Afghanistan, possa diventare un nuovo fallimento per la comunità internazionale.
Giancarlo La Vella ne ha parlato con Massimo De Leonardis, docente di
Storia delle Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano:
R. – Iraq e
Afghanistan sono stati esempi malriusciti di intervento. Qui invece il problema è
che non si riesce a concretizzare un progetto politico internazionale di intervento
ben preciso, perché naturalmente la situazione della Siria è molto più complicata,
per esempio, di quella della Libia.
D. – Si potrebbe partire da un intervento
in campo umanitario - sono già decine di migliaia i profughi in fuga dalle violenze
– garantendo quindi in questo modo già una presenza internazionale?
R. – Temo
che questo sia possibile solo al di fuori dei confini della Siria, perché all’interno
del Paese la situazione è degenerata progressivamente in una guerra civile sempre
più cruenta, e credo sia impossibile pensare a interventi di tipo umanitario in territorio
siriano. Ma, oltre a questo, sappiamo che ci sono tutta una serie di interventi da
parte di Paesi arabi, da parte anche della Turchia, a sostegno delle forze che si
oppongono ad Assad. Questo è il surrogato – diciamo – di quello che non si riesce
a realizzare a livello internazionale e quindi una missione militare di interposizione
o, come in Libia, un intervento militare preciso tra le parti.
D. – La Nato
che ruolo potrebbe avere?
R. – Credo assolutamente nessuno, perché la Nato
– lo si è visto anche nel caso della Libia – ha agito dietro un preciso mandato ricevuto
dall’Onu. Non credo assolutamente che la Nato abbia alcuna intenzione di intervenire
in questa situazione, senza un preciso input del Palazzo di Vetro, considerando anche
che la situazione militare e l’impegno richiesto sarebbe molto più rilevante e pericoloso.
D. – A parte le differenze di posizione tra Russia, Cina e il resto della
comunità internazionale, secondo lei questa fase di stallo è causata anche dal fatto
che non ci sia un pieno gradimento o una profonda conoscenza di quella che è la realtà
dell’opposizione siriana?
R. – Certamente. Questo è un problema che si è constatato
un po’ in tutti i casi relativi alle rivolte arabe: diversi osservatori hanno rilevato
che certamente i Paesi occidentali sono ormai decisamente schierati contro Assad,
però sono restii a un intervento estremamente deciso, proprio perché non si conosce
esattamente chi siano i gruppi che combattono contro Assad. Si tratta di un fronte
estremamente diversificato, nel quale non mancano esponenti del terrorismo islamico
appartenenti ad Al Qaeda. Quindi, mentre nel caso della Libia si poteva rischiare
di fare un salto nel buio, nel caso della Siria la situazione geopolitica è talmente
complicata che anche gli occidentali agiscono con una certa misura di cautela.