Nord e Sud Sudan hanno raggiunto un accordo sullo sfruttamento del petrolio, argomento
che ha a lungo diviso le capitali Juba e Khartoum. Lo ha annunciato il mediatore dell'Unione
Africana, Thabo Mbeki, che tuttavia non ha fornito ulteriori dettagli. L’annuncio
è arrivato dopo un invito esplicito del segretario di Stato americano, Hillary Clinton,
ai due Paesi perché giungessero ad una posizione comune. Davide Maggiore ha
chiesto a padre Franco Moretti, direttore della rivista dei comboniani "Nigrizia":
R. – Non si
sa ancora quanto Khartoum chiederà a barile; non è stato detto quando riprenderà la
produzione … Insomma, io sono un po’ dubbioso, perché altre volte sono arrivate buone
notizie, quindi è difficile giudicare. Dovremo solo aspettare se davvero questo accordo
porterà delle decisioni concrete: una ripresa della produzione di greggio e la ripresa
dell’uso di questo oleodotto che dal confine tra i due Stati porta il greggio a Port
Sudan. Io mi auguro che sia una buona notizia. Il problema è che altre buone notizie
poi sono state smentite dall’atteggiamento di Khartoum.
D. – Teme che questo
accordo sia un accordo di facciata? Il Sudan settentrionale, Khartoum, dice che l’accordo
non verrà attuato finché non saranno risolti i problemi di sicurezza, e d’altra parte
il Sud Sudan cerca alternative con la costruzione di un secondo oleodotto che va verso
il Kenya …
R. – Il Kenya è deciso a voler sfruttare questa ricchezza, e sono
già pronti dei piani per creare un porto nel Nord del Kenya, sull’Oceano, per poter
ospitare il terminal di questo nuovo oleodotto. La chiusura della produzione e dell’esportazione
del greggio sud-sudanese, che è tanto importante per il mondo globalizzato in un momento
di crisi come l’attuale, aveva portato molti governi occidentali a guardare male Juba;
la Gran Bretagna, addirittura, è arrivata a interrompere gli aiuti umanitari al Sud
Sudan. Ora, probabilmente, ambedue i governi devono far vedere che hanno buone intenzioni
di risolvere la questione. Ma ammesso che l’accordo sia davvero sincero, rimangono
tante altre questioni irrisolte …
D. – E si tratta soprattutto di questioni
di carattere territoriale …
R. – C’è lo status dei due Stati che sono ancora
attribuiti al Nord Sudan ma che avevano ricevuto la promessa di un referendum: Khartoum
non vuole che questa consultazione popolare avvenga perché teme che la gente possa
decidere di andare con il Sud Sudan. C’è la questione dei confini della regione di
Abyei, che è la più ricca di risorse petrolifere … La situazione è ancora fluida.
Dobbiamo solo sperare che i due governi decidano davvero di volere il bene delle due
nazioni.
D. – Questo accordo arriva anche dopo pressioni internazionali, dopo
le sollecitazioni di Hillary Clinton, che è in viaggio in Africa. Sono molte le potenze,
tra cui anche la Cina, che hanno interessi nel settore petrolifero sud-sudanese. Chi
può guadagnare da questo accordo?
R. – Per un po’ di anni, diciamo per altri
cinque-sei anni, solo la Cina, perché nel 2007 la Cina ha firmato un accordo con Khartoum
per l’86% del greggio sudanese; ma la Cina è bravissima a fare accordi anche con il
Sud Sudan, perché la Cina fa affari ovunque, anche con due Stati in conflitto. Gli
Stati Uniti sperano di poter, entro il 2025, avere un 30% delle risorse petrolifere
provenienti dall’Africa sub-sahariana: vogliono diminuire la loro dipendenza dal Medio
Oriente.