2012-08-03 08:00:35

Siria: lascia il mediatore Onu-Unione Africana Kofi Annan. Violenze ad Aleppo e Damasco


Kofi Annan ha gettato la spugna dopo 5 mesi di intenso lavoro finalizzato a trovare una soluzione diplomatica al conflitto in Siria. L’ex segretario generale delle Nazioni Unite ieri ha deciso di non prolungare il suo mandato di inviato dell’Onu e della Lega Araba oltre la scadenza del 31 agosto. A pesare il rifiuto del governo siriano ad applicare il piano in sei punti e le posizioni di Cina e Russia in ambito Onu. Previsto per oggi il voto all’Assemblea generale della risoluzione presenta dai Paesi arabi sulla quale peserà ancora una volta il no di Mosca. E sul terreno prosegue la violenza, 50 i morti ieri solo ad Hama, un centinaio in tutto il Paese. Il servizio di Marina Calculli: RealAudioMP3

Dichiarazioni di riconoscenza per l’impegno di Annan sono venute da tutti i Paesi membri dell’Onu. Dure invece le parole degli Stati Uniti che hanno criticato “la politica condotta da Russia e Cina in Consiglio di Sicurezza dell'Onu”. “Bisogna continuare a sostenere la missione in Siria – ha replicato Mosca – ma la strategia deve essere chiara”. Qual è dunque il significato politico delle dimissioni di Kofi Annan dal suo incarico? Benedetta Capelli lo ha chiesto al prof. Alessandro Corneli, docente di Storia delle Relazioni Internazionali alla Luiss: RealAudioMP3

Ed al di là delle questioni diplomatiche, continua pesantissima l’emergenza umanitaria in Siria. La Fao ha lanciato un allarme per la popolazione del Paese: entro un anno tre milioni di persone avranno bisogno di aiuti per l’agricoltura. E mentre la situazione sul terreno si fa più difficile, migliaia di siriani scelgono di abbandonare il Paese. Benedetta Capelli ha raccolto la testimonianza di Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania, raggiunto telefonicamente al confine con la Siria. Ascoltiamo: RealAudioMP3
R. – Adesso mi trovo a Mafraq, dove ormai da sei mesi arrivano i siriani che stanno continuando a scappare dalla Siria: è proprio vicino alla frontiera siriana. In quella zona abbiamo costituito due centri Caritas per ricevere i siriani e per aiutarli.

D. – Di quanti profughi siriani stiamo parlando?

R. – In tutta la Giordania parliamo di 165 mila siriani: noi come Caritas – finora - ci stiamo occupando di circa 25 mila siriani e, con i nostri partner, stiamo cercando di aiutarli quotidianamente.

D. – Cosa raccontano i profughi siriani e soprattutto di cosa hanno bisogno?

R. – Di sicuro non parlano di cose politiche, forse perché hanno paura o forse perché arrivano da un regime che non ha mai dato loro la possibilità di parlare e anche – forse – di pensare. Vengono qui e chiedono soltanto aiuti umanitari: chiedono tutto, perché sono famiglie con bambini, famiglie numerose. Chiedono cibo, chiedono aiuto per trovare una casa in affitto e per essere aiutati ad inserire i bambini nelle scuole… Tutto, chiedono tutto, perché non hanno niente! Sono venuti con le loro macchine, ma senza niente…

D. – Le famiglie giordane hanno dato prova di grande generosità, accogliendo i profughi nelle loro case. Un gesto, questo, molto importante…

R. – Sì, è vero. Il popolo giordano ha vissuto questa esperienza negli ultimi 60 anni: prima con i palestinesi, nell’82 con i libanesi, nel ‘91 con gli iracheni e adesso con i siriani. La cosa più bella è certamente la solidarietà, che il popolo giordano ha nella sua cultura e che ha dimostrato aprendo le case. Certo, c’è anche qualcuno che approfitta della situazione e affitta degli alloggi ma è anche vero che il Paese, economicamente parlando, sta passando anche un momento difficile. Ma hanno comunque aperto le loro case.

D. – Le autorità hanno aiutato queste famiglie? C’è stato un sostegno anche da questo punto di vista?

R. – Adesso il governo è riuscito almeno a dare il permesso a tutte le Ong del mondo per venire e aiutare i siriani. Tre-quattro giorni fa ha anche aperto il primo campo per i profughi siriani, che ha tutti i servizi, compresi quelli sanitari. Questo campo riesce ad accogliere 100 mila siriani.

D. – In qualità di direttore di Caritas Giordania, vuole lanciare un appello?

R. – Sì. Adesso stiamo lavorando con i nostri di Caritas Internationalis e altre Caritas del mondo: io posso solo ringraziare tutti i nostri partner – Caritas Internationalis e certo la Chiesa universale – perché tutti hanno aiutato Caritas Giordania ad implementare i propri progetti. Finora siamo riusciti ad aiutare 25 mila persone.












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