Nuove sanzioni Usa contro l'Iran. Netanyahu: insufficienti, Teheran vuole annientare
Israele
Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato quasi all’unanimità nuove sanzioni contro
chi permette all’Iran di vendere o trasportare petrolio allo scopo di contrastare
il programma nucleare della Repubblica islamica. E se Teheran costruirà armi atomiche,
ha detto ieri in Israele il segretario statunitense alla Difesa Leon Panetta, gli
Stati Uniti hanno “opzioni da portare avanti”. Ma il premier israeliano Netanyahu
ha considerato queste dichiarazioni insufficienti perché - ha affermato - l'Iran vuole
costruire bombe per annientare lo Stato ebraico. Ci sono dunque venti di guerra tra
Israele e Iran? Davide Maggiore lo ha chiesto ad Antonello Sacchetti,
giornalista esperto di questioni iraniane:
R. - Io direi
che in realtà questi venti di guerra non sono mai cessati. E’ un clima che continua
ormai da anni e probabilmente negli ultimi 8-10 mesi si è fatto più pesante. Oltre
a questo viaggio di Panetta, io ci metterei anche l’ultimo turno di sanzioni che sono
state approvate dagli Stati Uniti, perché impone una serie di limitazioni e di penalizzazioni
nei confronti dell’Iran veramente pesantissime: quando si colpisce il settore petrolifero
iraniano, si colpisce il cuore dell’economia iraniana. Quindi non è soltanto un aspetto
dell’economia del Paese! Direi che la situazione, sì, è più tesa rispetto a qualche
settimana fa.
D. - Un’esplicita opzione militare può essere esclusa?
R.
- Qui l’aspetto della questione è un pochino più complicato: c’era una battuta riportata
dai quotidiani israeliani in cui si parlava di un eventuale aumento dell’Iva in Israele
e un commentatore abbastanza noto diceva “questa è la prova che la guerra all’Iran
non si farà!”. E questo perché Netanyahu non potrebbe sostenere due crisi in contemporanea:
da una parte aumentare l’Iva e dall’altra fare anche una guerra. E’ forse poco più
di una battuta, ma qualcosa di vero probabilmente c’è. Probabilmente anche questa
ipotesi lasciata sempre lì sul tavolo dell’attacco, del raid sull’Iran è una minaccia
che viene ogni tanto fatta per tenere calda una opzione, ma che in realtà consente
poi di scegliere. Come opzione - in teoria - più leggera ci sono le sanzioni e altri
tipi di intervento. Sinceramente non sono molto convinto che da qui alle elezioni
statunitensi - e quindi novembre - ci sarà qualche novità in questo senso.
D.
- Questa insistenza di Netanyahu che dice - ad esempio – “non consentirò agli ayatollah
di distruggerci” può essere quindi vista come una mossa più che altro a fini di politica
interna?
R. - Sì e non solo di politica interna, anche di politica internazionale.
Continuare ad insistere sicuramente è un sistema che nell’equilibrio dei rapporti
internazionali - parliamo di quelli con gli Stati Uniti - serve a mantenere alta l’attenzione
e anche a mantenere alte le richieste per quanto riguarda sia i rapporti nello scacchiere
mediorientale, sia poi in termini anche di politiche militari, di finanziamenti. Io
non sono, però, così convinto che in realtà non ci possa essere un attacco: sono convinto
che non ci possa essere ora! A meno di sei mesi dalle elezioni presidenziali americane
e con l’attuale situazione internazionale, non credo che sarebbe una cosa che gli
Stati Uniti possano tollerare.
D. - Su questo come influisce la situazione
siriana?
R. - Io credo che quello sia un problema legato sia ad una questione
interna di Israele e riguarda in un certo senso anche l’Iran. La Siria è l’unico Paese
che abbia un rapporto - come dire - di alleanza vera e propria con l’Iran. Quindi
sicuramente il perdurare di quella crisi è un qualcosa che sta condizionando un po’
tutta la situazione.
D. - Come reagisce a queste voci e a questa situazione
l’Iran?
R. - La politica iraniana è in un momento difficile: intanto siamo
entrati negli ultimi mesi del governo di Ahmadinejad, che non potrà ricandidarsi.
In questo momento è in atto una crisi gravissima, finanziaria, con uno scandalo che
è scoppiato circa un anno e mezzo fa e che ha coinvolto personaggi vicinissimi al
presidente. Da un punto di vista politico, quindi, si è in una fase di stallo: in
questa fase è prevalsa, come poi d’altra parte prevede la stessa Costituzione dell’Iran,
la linea della Guida suprema, che è l’ultima voce sulla politica estera. La posizione
di Khamenei è più dura di quella di Ahmadinejad. Cosa accadrà da qui a qualche mese
è complicatissimo prevederlo, perché l’Iran ha dei tempi di reazioni e di elaborazione
delle strategie politiche che spesso ci sfuggono.