"Abbiamo voluto
che fosse una veglia della città per la città. Sulla vicenda dell'Ilva, infatti, Taranto
è fortemente divisa. La gente si sente rassegnata o a morire di fame, per la mancanza
di lavoro, o a morire di inquinamento. Un dilemma che si può sciogliere solo se ciascuno
la smette di difendere solo il proprio interesse e si cercano unità e dialogo fra
tutte le parti". Così don Emanuele Ferro, portavoce dell'arcidiocesi di
Taranto, racconta la processione e la veglia di preghiera che hanno animato
il rione Tamburi del capoluogo jonico nei giorni di proteste e manifestazioni per
la possibile chiusura dell'acciaieria Ilva, - accusata di disastro ambientale - che
costerebbe la perdita del posto a oltre 5mila lavoratori. "Il dialogo invocato
dall'arcivescovo Santoro - commenta Gianluca Budano, presidente regionale delle
Acli di Puglia - dimostra che la Chiesa non tace. L'intesa si può raggiungere
solo provando a far incontrare allo stesso tavolo le parti in causa". "E' vero
però - aggiunge Budano - che la magistratura non può effettuare trattative. Le responsabilità
del sequestro stanno in capo a chi ha violato la legge. Spetta alla politica, latitante
negli ultimi anni, e alla società civile, sindacati compresi, effettuare una mediazione.
Bisogna intanto appurare scientificamente se questo impianto ha prodotto davvero danni
alla salute e poi verificare se ci sono davvero le condizioni per bonificare e riaprire
la fabbrica. La salute resta infatti prioritaria tra gli interessi in gioco". "Alla
magistratura - aggiunge don Ferro - va riconosciuto il merito di aver rotto un muro.
Prima non c'era alcun dialogo tra l'azienda e la città e la politica dormiva. L'Ilva
e i suoi lavoratori, come la salute dei cittadini, sono un problema di tutti. Certo,
tamponata l'emergenza, serve una politica intelligente che apra la strada ad un'economia
differente. L'Ilva, infatti, non produce biscotti, ma acciaio". (A cura di Fabio
Colagrande)