India: marcia in favore dei diritti dei dalit. Mons. Machado: basta discriminazioni
Centinaia di dalit cristiani e musulmani hanno sfilato in questi giorni sotto la pioggia
per le strade di New Delhi, per chiedere al governo Upa (United Progressive Alliance)
di garantire loro i diritti previsti dalla legge sulle caste, entro le elezioni generali
del 2014. Organizzata dalla Conferenza episcopale indiana (Cbci) e da leader islamici,
la marcia - riferisce l'agenzia AsiaNews - è culminata davanti al palazzo del Parlamento,
dove i manifestanti hanno iniziato un dharma (digiuno di protesta), indossando magliette
con la scritta "Upa - Rispondi alla Corte suprema". Lo slogan scelto dai manifestanti
si riferisce alle numerose cause presentate da gente comune, società civile e leader
religiosi per porre fine alla discriminazione su base religiosa ed applicare lo status
di Scheduled Caste (Sc) anche ai fuoricasta cristiani e musulmani. La lotta per garantire
eguali diritti va avanti dal 1950, quando il parlamento approvò l'art. 3 della Costituzione
sulle Sc. In base a questo paragrafo, la legge riconosce diritti e facilitazioni di
tipo economico, educativo e sociale solo ai dalit indù. In seguito, nel 1956 e nel
1990, lo status venne esteso anche a buddisti e sikh. Tra le personalità presenti
alla marcia, anche mons. Vincent Concessao, arcivescovo di New Delhi: "La discriminazione
contro dalit cristiani e musulmani va contro ogni principio sancito dalla nostra Costituzione,
che è laica per sua stessa natura. Siamo qui non solo per promuovere ciò che è bene,
ma anche per combattere il male. E discriminare qualcuno per la sua religione è malvagio".
Sulla marcia Emer McCarthy ha raccolto la testimonianza di Padre Dominic
D’Abreo, portavoce della Conferenza episcopale indiana:
“We began the
march ... Abbiamo iniziato una marcia che è partita da Ramlila Maydan. Hanno partecipato
alla marcia circa 2500 persone che, insieme, hanno protestato per difendere i diritti
dei dalit di fede musulmana e cristiana. Si tratta di diritti costituzionali, mentre
l’articolo 3 della Costituzione indiana non comprende i diritti dei dalit cristiani
e musulmani. Questi diritti riguardano tutti gli aspetti della vita e contribuiscono
allo sviluppo della persona. Tutti i diritti garantiti dal governo devono essere riconosciuti
anche a tutti dalit”.
Dal governo non è ancora arrivato alcun provvedimento
che assicuri pari diritti, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco,
il vescovo di Vasai, mons. Felix Machado:
R. – Noi pensavamo
che il governo avrebbe provveduto, ma nemmeno il Partito del Congresso vuole farlo.
Anche perché pensano che, magari i cristiani sono pochi e non contano come voti …
Questo veramente ci rattrista molto, perché comunque la sola Chiesa cattolica, con
il suo 1,5 per cento, è presente in campo sociale, in campo sanitario e nel campo
educativo e assicura al Paese il 33 per cento dei servizi e tutti lo sanno! Credo
che sia un diritto ingiustamente negato a noi.
D. – Perché i diritti vengono
riconosciuti a dalit indù, buddhisti e sikh e invece sono esclusi dalit cristiani
e musulmani?
R. – Questo ce lo chiediamo anche noi. Certamente, perché nella
mentalità di alcuni queste due religioni sono considerate come ‘straniere’, venute
da fuori. Questa motivazione è falsa: il cristianesimo, infatti, è una fede di antichissima
presenza in India, fin dai suoi primi giorni. La seconda ragione potrebbe essere,
secondo loro, che nelle istituzioni adibite alla formazione o nei collegi, i posti
sono riservati per il 20-30 per cento, ai disoccupati. Se tutti ricevessero questi
privilegi, loro perderebbero un numero maggiore di posti perché dovrebbero condividerli
con musulmani e cristiani.
D. – Il riconoscimento di questi diritti negati
ingiustamente ai dalit cristiani e anche musulmani sarebbe un passo cruciale nel dialogo
interreligioso?
R. – Il dialogo con i musulmani si è sempre svolto regolarmente;
questa è una ulteriore occasione. Ma noi non vogliamo dare l’impressione che siamo
uniti soltanto quando si tratta di chiedere qualcosa. E’ perché esiste un’ingiustizia
e la Chiesa affronta questa ingiustizia insieme, anche attraverso il dialogo.